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Un altro “genere” di studi

Solo 16 Atenei sono presenti corsi in gender studies

Una fra le regole grammaticali più sessiste della lingua italiana obbliga ad utilizzare il genere maschile se ci si riferisce ad una collettività di persone, di sesso maschile e femminile, anche qualora gli individui femmina siano numericamente superiori a quelli maschio. Un semplice dettame, ormai consolidato nell'uso comune della lingua, che nasconde però le radici socio-culturali delle disuguaglianze di genere. Gli studi di genere, diffusissimi al di fuori del territorio nazionale, approfondiscono le manifestazioni sociali, politiche, culturali ed economiche legate alla propria identità sessuale: uomo o donna, eterosessuali, omosessuali, transessuali e così via.

Secondo uno studio realizzato dall'Associazione Italiana di sociologia, presentato all'Università Roma Tre, su 57 atenei italiani solo in 16 sono presenti corsi in gender studies. In particolare, nel nostro Paese esistono solo 56 insegnamenti di genere, spalmati tra corsi di laurea triennali e magistrali, 12 corsi di perfezionamento, 6 master e 4 dottorati. Gli studi di genere, inoltre, attecchiscono solo in quei curricula tradizionalmente legati alle scienze umanistiche anche se, come ha ribadito Giada Sarra, dottoranda nel dipartimento di Scienze Politiche di Roma Tre, «è assurdo pensare che questi studi debbano essere relegati alle scienze sociali o della letteratura. Quando parliamo di genere parliamo di vita reale delle persone, di come percepiamo i nostri corpi, i nostri orientamenti sessuali, il nostro posto nella società. Si tratta di una formazione che dovrebbe essere estesa anche ad ambiti come quello medico ed economico».

Lo sviluppo dei gender studies in Italia persevera un filone piuttosto tradizionalista. La maggior parte dei corsi, infatti, è incentrata su argomenti gettonati, come il rapporto uomo-donna, mentre vengono snobbati temi come quello dell'omosessualità e della transessualità. A tutto ciò si aggiungono le sconfortanti statistiche che livello nazionale suggeriscono un chiaro disinteresse da parte degli studenti uomini sul tema: basti pensare che solo io 13% degli insegnanti universitari in materia è di sesso maschile.

L'università di Catania, dopo la chiusura e la successiva riapertura del corso in gender studies, si conferma in prima fila nel settore non soltanto nel Sud Italia. Nel frattempo, Giada Sarra propone di «includere nei programmi le diverse identità della società e iniziare a pensare ad estendere questi studi anche alle scuole secondarie. Non ci sarebbe nulla di strano. Pensiamo che negli Stati Uniti l'educazione sessuale è una materia obbligatoria da 15 anni». Un altro genere di studi è possibile.
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