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Laureate ancora discriminate

Quote rosa e cultura: 32% cerca lavoro contro il 24% degli uomini

Un ottimo percorso universitario e una media invidiabile non bastano ad una laureata per ottenere un adeguato riconoscimento sul piano del lavoro. Almalaurea, in collaborazione con Labitalia, ha monitorato lo stato dell'occupazione femminile in Italia. I risultati? Alquanto sconfortanti se paragonati a quelli dei restanti paesi europei. A dodici mesi dalla laurea specialistica, lavora il 55,5% delle donne e il 63% degli uomini, questi ultimi possono contare più delle colleghe su un lavoro stabile (39% contro 30% femminile) e guadagnano in media il 32% in più delle loro compagne di lavoro (1.220 euro contro 924 euro mensili netti). Le percentuali si abbassano ulteriormente se si considerano i tassi di disoccupazione post laurea: il 32% delle laureate si dichiara in cerca di lavoro, la controparte maschile presenta un tasso più basso, il 24%.

Le difficoltà di genere da sempre incontrate nel mondo lavorativo e, prima ancora, universitario si chiamano precisamente maternità, prole a carico e doppio ruolo delle donne nella società contemporanea. Basti pensare che la retribuzione destinata a laureate senza figli è in media di 1.247 euro contro i 1.090 euro delle lavoratrici con uno o più figli (dati Almalaurea).

Eva Cantarella, autrice de L'ambiguo Malanno ed esperta di tematiche di genere, in una recente intervista rilasciata alla rivista universitaria menodizero ha approfondito il tema delle pari opportunità in ambito sociale ed universitario. «Negli ultimi quarant'anni» dice la Cantarella, « gli studi di genere non hanno trovato lo spazio che meriterebbero, salvo qualche felice eccezione. E nelle diverse facoltà (oggi dipartimenti) sono stati e continuano a essere in qualche misura "ghettizzati" e "ghettizzanti": da un canto, infatti, a tenere questi corsi sono state inizialmente e sono tuttora prevalentemente le donne; dall'altro alle donne che vi si sono dedicate si è guardato come a storiche "di genere"».

«La diversità di genere» continua la studiosa, «comincia a farsi sentire a scuola e si approfondisce con gli anni, arrivando a diventare spesso un ostacolo insormontabile nel momento in cui una donna stabilisce un rapporto di coppia che comporta la convivenza e la procreazione. Per quanto riguarda l'università, negli ultimi anni, anche in facoltà tradizionalmente maschili il numero delle donne che ha raggiunto il livello più alto della docenza è certamente aumentato, anche se spesso a costo di grandi sacrifici per le donne legate al doppio ruolo». Ancora una volta, sono le ragioni biologiche ad impedire a tutte le donne, dall'impiegata in banca alle donne manager, di poter competere quantitativamente con la controparte maschile. Non sono le "predestinazioni antropologiche" ad sbarrare la strada alle laureate più ambiziose ma, come afferma la stessa Cantarella, «un progressivo smantellamento dei servizi sociali che impedisce la realizzazione delle aspettative professionali femminili».
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