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Data di scadenza e termine minimo di conservazione: che confusione!

Comprendere la differenza per evitare gli sprechi

Si stima che ogni giorno un italiano butti nella spazzatura circa mezzo chilo di cibo per un totale di 180 kg l'anno. E dire che siamo sotto la media nella classifica dei paesi ricchi dove la maglia nera dello spreco va a Stati Uniti e Olanda i cui abitanti consegnano ogni giorno ai cassonetti un chilo e mezzo di cibo. Un dato sconcertante e paradossale, non solo perché centinaia di milioni di persone nel mondo soffrono di malnutrizione, ma anche perché l'impatto ambientale della nostra produzione di cibo è troppo elevato per potersi permettere un simile scempio.

Tante le campagne di sensibilizzazione e le iniziative virtuose dirette ad invertire la rotta. Dalle varie applicazioni e le piattaforme online che permettono di condividere, con un tocco sullo smartphone, gli alimenti avanzati o di ritirare a prezzo scontato i prodotti vicini alla scadenza, alla moda della "doggy bag", un box in cui raccogliere gli avanzi del cibo non consumato al ristorante, per poterlo assaporare altrove, in un altro momento o magari per destinarlo proprio ai migliori amici dell'uomo. Considerata una pratica non molto elegante, c'è voluta Michelle Obama per rompere il taboo: nel 2009, a Roma col marito per i lavori del G8, la first lady statunitense prima di lasciare il ristorante I Maccheroni chiese una doggy bag per i resti della cena.

E mentre la Francia approva la tanto plaudita legge anti-spreco, l'Italia dichiara che presto ne seguirà l'esempio. Nel frattempo inserisce nella legge di stabilità 2016 una misura che favorisce il recupero di cibo rendendo più facile donare che sprecare alle imprese la cui attività è diretta alla produzione o allo scambio di derrate alimentari.

Le ragioni per cui si spreca sono tante e coinvolgono tutti: produttore, distributore e consumatore. Ma all'origine del nostro spreco quotidiano c'è molto spesso una mancata o errata conoscenza della distinzione tra termine minimo di conservazione e data di scadenza, che ci porta a gettare cibo ancora edibile. E' bene allora chiarire che Il "termine minimo di conservazione" è la data fino alla quale il prodotto conserva le sue proprietà specifiche in adeguate condizioni di conservazione e va indicato con la dicitura "da consumarsi preferibilmente entro il" o "entro fine", a seconda che, si indichi, rispettivamente, il giorno oppure un altro periodo. Indica che le caratteristiche del prodotto rimangono inalterate fino alla data indicata, dopodiché lo si può comunque consumare, senza pericoli per la sicurezza, a patto che sia ben conservato. Certo ne risentirà in termini di gusto, aroma, colore e consistenza, e non avrà lo stesso apporto di nutrimenti, ma rimane sicuro. Non vi è divieto di vendere tali alimenti dopo la scadenza del predetto termine (naturalmente ci aspettiamo che il prezzo sia ridotto).

La scadenza vera e propria invece, indicata con la dicitura "da consumarsi entro", indica un termine oltre il quale il prodotto può costituire un pericolo per la salute a causa della proliferazione batterica. Tale data consiste, nell'ordine, in: giorno, mese ed anno. Per legge è vietata la vendita dei prodotti che riportano la data di scadenza a partire dal giorno successivo a quello indicato sulla confezione e il negoziante ha l'obbligo di toglierli dalla vendita.

La confusione che le due espressioni spesso ingenerano ha indotto alcuni stati europei a proporre a Bruxelles l'eliminazione dell'obbligo di indicare in etichetta il termine minimo di conservazione, proprio al fine di ridurre gli sprechi. In questo modo però verrebbe meno una informazione importante per il consumatore in termini di qualità dei prodotti.

Frattanto che si studiano soluzioni alternative, esercitiamoci nella distinzione, sicuri che non stiamo innescando alcun meccanismo di autodistruzione.
  • difesa consumatori
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