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Il fenomeno del Food Truck: cibo di qualità che viaggia su 4 ruote

Non solo tendenza ma riscossa economica

Si è conclusa lo scorso weekend a Bari la tappa inaugurale dello StreEat European Food Truck Festival, il festival italiano del cibo di qualità on the road, che nel 2015, al suo esordio, ha fatto registrare oltre 500mila presenze nelle diverse città. Per la prima volta sbarca in una città del Sud e porterà oltre 100 ristoratori su 4 ruote, selezionati secondo i rigidi parametri di StreEat, a spalmare le specialità regionali lungo tutta la penisola. La formula? Design accattivante, qualità del cibo da consumare al volo, giusto prezzo e una parola d'ordine: cibo made in Italy.

Il festival consacra un fenomeno nato negli Stati Uniti e in netta crescita nel nostro Paese. Sebbene quelli di alta qualità siano ancora una minoranza, sono oltre 8.500 da nord a sud i venditori di cibo di strada tradizionale, con un aumento delle licenze di oltre 3 mila unità dal 2009 al 2015, complice la crisi economica che ha incentivato sia l'offerta che la domanda dei furgoni gastronomici. Da un lato, infatti, i costi di avvio sono decisamente inferiori a quelli per aprire un bar o ristorante tradizionale, dall'altro v'è una clientela ben lieta di pagare prezzi accessibili per piatti di cucina autentica e creativa, un vero affare in confronto al conto dei ristoranti gourmet.

Chi sono i food trucker? Secondo i dati della Confcommercio di Milano, il 27% ha tra i 22 e i 35 anni, la maggior parte di loro vive nel capoluogo lombardo o a Roma e sono quasi tutti attivi sui social Facebook e Twitter. Alcuni scelgono questa attività come piano b, come Adriano Antonioli, fondatore del progetto di successo Pizza&Mortazza, che nella vita precedente si occupava di finanza e consulenza bancaria.

E' un mercato ancora giovane quello italiano per fare previsioni, ma la versatilità e flessibilità dell'ape, il tocco vintage, il cibo buono e locale, nelle sue molteplici varianti dal fritto al bollito, costituiscono i punti di forza dei food trucks. Attingendo alla ricca cultura gastronomica nazionale, l'offerta in Italia è comunque ampia: dalle frise salentine della Friselleria on the road agli hamburger del Rock Burger Food Truck, l'unico statunitense in Italia, un GMC Bluebird degli anni '60, fino al cibo per cani di Dog Sweet Dog, partito da poco a Milano. Ci sono poi i rodati BBQ Valdichiana (hamburger di chianina e salsiccia senese), Frie'n'Fuie (fritto napoletano) e l'Apuccia Salento in Movimento (puccia salentina).

A novembre 2015 è nato anche Food Truck Advisor, magazine legato al mondo dei food truck e della cucina di strada di qualità.

Se da noi sono una realtà recente, camioncini, biciclette, carretti e ape car da anni impazzano in America e spopolano nel sud est asiatico, ma anche in paesi dove il cibo di strada fa parte della cultura locale, come Sud America, Giappone e India. Un business vincente che ha ispirato libri, applicazioni per smartphone come Roaming Hungher, che localizza in tempo reale le centinaia di furgoni gastronomici sparsi per le città americane, e persino Hollywood con il film Chef che racconta la storia di un cuoco caduto in disgrazia che si riscatta vendendo sandwich cubani su un furgone.

Il periodo d'oro dell'attività coincide con la bella stagione fino alla fine dell'estate, ma prima di partire quanto ci vuole? Essendo un'attività di commercio al dettaglio su area pubblica, aprire un food truck significa anche scontrarsi con la burocrazia e molto spesso, per far fronte ai passi da fare, i novelli imprenditori mobili si rivolgono a società specializzate. In ogni caso è necessaria una licenza per il commercio ambulante (di tipo A se a posteggio fisso, di tipo B se in forma itinerante), la presentazione della Segnalazione Certificata di Inizio Attività (SCIA) e l'implementazione del sistema Haccp. Inoltre, i veicoli utilizzati per la vendita dei prodotti alimentari devono rispondere anche ai requisiti indicati dal Ministero della Sanità.

I locali itineranti sono dei palcoscenici gastronomici che si traducono in uno strumento di marketing molto efficace se usato con intelligenza. Ecco perché sono diversi i ristoranti che si sono messi su strada, usando la stessa immagine e prodotto centrale del locale fisico come Meatball Family e God Save the Food a Milano. E non mancano i cuochi di professione stellati che hanno scelto di avere la loro vetrina su ruote, come Mario Uliassi con l'Uliassi Street Good nella sua Senigallia e Ape Romeo, in versione Brown e White, costola mobile dell'omonimo ristorante romano nel quartiere Prati della chef stellata Cristina Bowerman.

L'importante è differenziarsi con un'idea di prodotto unico, dal cibo al veicolo, e con un progetto solido alle spalle. I punti fondamentali sono: qualità del cibo, impatto ambientale che deve essere ridotto al minimo, capacità di fare rete con il territorio e rapporto con il pubblico, senza tralasciare la comunicazione che deve partire dai social network per attivare un buon passaparola, magari prendendo spunto dal Kogi BBQ a Los Angeles eletto da Newsweek «il primo ristorante virale d'America» con i suoi 132mila followers su Twitter.
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