Attualità
Carenza di personale nei pronto soccorso: "La battaglia quotidiana degli zombie"
Le (amare) considerazioni di uno (dei pochi rimasti) medici di Emergenza/Urgenza
Italia - venerdì 19 novembre 2021
Decine di medici e infermieri dei pronto soccorso italiani si sono ritrovati a Roma giorni fa, per chiedere una riforma strutturale che metta fine alla cronica carenza di organico. Situazione che costringe i medici a turni massacranti, a dover gestire il sovraffollamento quotidiano e le ambulanze in attesa. A due anni dall' inizio della crisi pandemica e alle porte della quarta ondata di Covid, le condizioni di lavoro sono ancora molto difficilissime nei reparti di emergenza e urgenza.
In Italia nel 2019 "si sono contati un totale di 24 milioni di accessi in pronto soccorso". Oggi "mancano all'appello 4mila medici che rappresentano circa il 30% della struttura organica necessaria per far funzionare adeguatamente i pronto Soccorso". La CIMO -il maggior sindacato dei medici ospedalieri- chiede al governo una riforma strutturale, nonostante siano arrivati i fondi per sostenere il lavoro nelle corsie dei reparti di emergenza-urgenza. I medici dei PS sono e sono sempre stati in prima linea e senza un buon sistema urgenza-emergenza il sistema implode.
Un medico di pronto soccorso iscritto alla CIMO descrive quello che accade nelle giornate di lavoro nei pronto soccorso affinché il cittadino/utente possa considerare lo stress e le grandi difficoltà cui sono chiamati a svolgere chi deve occuparsi della nostra salute.
«La vita suona al ritmo dei turni, un loop inesorabile tra giorni e notti. Una musica che si ripete, silenziosa, senza interruzione. Non ci sono i fine-settimana che interrompono questa monotonia, non c'è uno stacco che ti riporta alle cose belle della vita; quelle vanno incastrate nei pochi momenti liberi, con fatica, consapevole che lo sforzo di farlo si esaurirà con l'energia della gioventù, ed a quel punto rimarrà solo una lagna deprimente. Entrare, cambiarsi prendere le consegne e partire. Una sequenza infinita di pazienti ognuno con i suoi problemi. Ma le difficoltà si accatastano una sull'altra, ognuno vuole risposte, subito, anche per futili motivi. Dentro quella stanza contemporaneamente vieni bombardato da una miriade di domande da parte dei pazienti, degli infermieri, degli oss. Il telefono squilla di continuo ma il tempo per ogni risposta, per ogni decisione è di pochi secondi. C'è confusione, un via vai continuo e fatichi a capire chi ti sta parlando. L'odore acre del vecchio che ha defecato nella barella accanto ti penetra nel cervello. Impossibile concludere una visita senza essere interrotto più e più volte, ed ogni volta cercare di ripartire da capo. Ma il signore cerca di raccontarti il suo problema. Per lui è il suo momento e vuole attenzione, almeno per 5 minuti, però non c'è tutto quel tempo. Lui vuole una risposta, ma l'unica che puoi dargli o almeno che ricerchi è quale destino affidargli. Deve essere ricoverato o può tornare a casa in relativa sicurezza? La diagnosi diventa un optional, la terapia un lusso, non puoi perdere tutto quel tempo. Non fai il medico. Sei nel vortice e ne vieni trasportato. L'anziana signora di 95 anni, ormai inconsapevole anche di essere al mondo, sta davanti a te: ma perché non è nel suo letto ad attendere il suo destino naturale? Perché il ragazzo ha avuto il coraggio di venire in Pronto soccorso per un banale mal di gola? Il territorio non esiste, siamo noi il parafulmine in una tempesta infinita. Lo stress cresce, la rabbia e la consapevolezza dell'impossibilità di approfondire il perché di tutto questo pure. Poi arriva l'emergenza, quella per cui vale la pena spendere tutto. Ci si dedica anima e corpo ma un occhio va sempre alla lista di attesa che aumenta. Sai già che pagherai caro esserti dedicato a questo codice rosso. Agli altri pazienti non importa cosa stai facendo, quando tornerai da loro ti aggrediranno per il tempo di attesa troppo lungo. Troverai una montagna di lavoro da smaltire che trascinerai fino al cambio del turno ed anche dopo, per non lasciare al collega una situazione troppo drammatica. Torni a casa distrutto, ti aspetta un piatto di pasta fredda ed i tuoi figli sono già a letto. Allora nella disperazione, quando il burn-out inizia a mangiarti l'anima, hai due possibilità. O inizi a chiedere consulenze inutili per situazioni che saresti perfettamente in grado di gestire da solo. Chiedi ecografie che non hai tempo di fare. Chiami l'anestesista per banali sedoanalgesie o il chirurgo per una sutura un po' più lunga. Smetti di fare il medico di emergenza, ciò a cui hai dedicato la vita, ed inizi a fare il vigile indirizzando pazienti da una parte all'altra. Sei considerato dagli altri specialisti un poveraccio, si lamentano per le continue richieste perché anche loro hanno il loro lavoro. Non sanno cosa c'è dietro. Oppure ignori la lista, dedichi il tempo che ogni paziente grave merita, fai il tuo lavoro come andrebbe fatto, paradossalmente lo fai con sentimento di protesta. È il modo migliore per essere disprezzato dal sistema. In Pronto Soccorso vogliono un medico "svuotatutto" non un medico bravo. Rabbia, depressione, stress, lacrime, stanchezza sangue e sudore si mescolano in mix devastante. Esci dal turno distrutto, ma non c'è riposo perché domani tutto ricomincia. I medici sono pochi, le persone scappano da questo massacro, e l'unica scelta che le amministrazioni sanno prendere è sfruttare ancora di più quelli che rimangono pur di tenere in piedi immutato questo sistema. Fino alla fine, finché uno rimane in piedi e non stramazza o decide, se ne ha la forza, di scappare prima. La vita sociale per noi è impossibile. Il weekend in cui le persone normali condividono la vita per noi non esiste, le serate davanti alla TV neanche. O si lavora o siamo distrutti dal lavoro. Tutto nella vita assume lo stesso sapore. Tutto perde di importanza. Tua mamma si sente sola ed è depressa, tuo figlio ha la febbre, deve andare dal dentista da 2 mesi ma non hai il tempo di portarlo. Ti chiede attenzione. Ma tutto questo passa in secondo piano. Finché il problema non è grave non può meritare attenzione, quella è catalizzata solo dal lavoro. Non riesci più a concentrarti su una attività, non porti niente a termine. Affronti la vita solo quando si presenta un'urgenza, un problema grande. Diventi progressivamente sempre più apatico, fino ad essere uno Zombie. Ma non è così la vita e lo sai. La vita è fatta di cose belle, grandi e piccole da godere, la vita è una sola e quando meno te lo aspetti può finire. Quando questi pensieri escono fuori l'unica scelta è abbandonare questo lavoro. Se fortunatamente queste idee vengono fuori prima di sceglierlo la scelta migliore è non iniziarlo neanche. Ecco l'essenza della crisi della medicina d'emergenza. Caro ministro non ce ne frega niente di 130 euro in più al mese, non ce ne frega niente degli incarichi professionali o delle promesse di carriera. Rivogliamo prima di tutto la nostra vita, fatta di giorni liberi, di ferie e di diritti. Vogliamo stare dietro ai nostri figli, vogliamo anche noi fare sport ed avere un hobby. Vogliamo la nostra dignità professionale e la possibilità di esercitare la nostra specialità ed il nostro lavoro con rispetto. Riorganizzate il sistema, il territorio, gli ospedali. Trovate un'altra destinazione per i codici minori. Fate ciò che volete ma rendeteci la possibilità di vivere da esseri umani e non da schiavi, altrimenti la libertà ce la riprenderemo da soli e sarà la fine di questo servizio».
In Italia nel 2019 "si sono contati un totale di 24 milioni di accessi in pronto soccorso". Oggi "mancano all'appello 4mila medici che rappresentano circa il 30% della struttura organica necessaria per far funzionare adeguatamente i pronto Soccorso". La CIMO -il maggior sindacato dei medici ospedalieri- chiede al governo una riforma strutturale, nonostante siano arrivati i fondi per sostenere il lavoro nelle corsie dei reparti di emergenza-urgenza. I medici dei PS sono e sono sempre stati in prima linea e senza un buon sistema urgenza-emergenza il sistema implode.
Un medico di pronto soccorso iscritto alla CIMO descrive quello che accade nelle giornate di lavoro nei pronto soccorso affinché il cittadino/utente possa considerare lo stress e le grandi difficoltà cui sono chiamati a svolgere chi deve occuparsi della nostra salute.
«La vita suona al ritmo dei turni, un loop inesorabile tra giorni e notti. Una musica che si ripete, silenziosa, senza interruzione. Non ci sono i fine-settimana che interrompono questa monotonia, non c'è uno stacco che ti riporta alle cose belle della vita; quelle vanno incastrate nei pochi momenti liberi, con fatica, consapevole che lo sforzo di farlo si esaurirà con l'energia della gioventù, ed a quel punto rimarrà solo una lagna deprimente. Entrare, cambiarsi prendere le consegne e partire. Una sequenza infinita di pazienti ognuno con i suoi problemi. Ma le difficoltà si accatastano una sull'altra, ognuno vuole risposte, subito, anche per futili motivi. Dentro quella stanza contemporaneamente vieni bombardato da una miriade di domande da parte dei pazienti, degli infermieri, degli oss. Il telefono squilla di continuo ma il tempo per ogni risposta, per ogni decisione è di pochi secondi. C'è confusione, un via vai continuo e fatichi a capire chi ti sta parlando. L'odore acre del vecchio che ha defecato nella barella accanto ti penetra nel cervello. Impossibile concludere una visita senza essere interrotto più e più volte, ed ogni volta cercare di ripartire da capo. Ma il signore cerca di raccontarti il suo problema. Per lui è il suo momento e vuole attenzione, almeno per 5 minuti, però non c'è tutto quel tempo. Lui vuole una risposta, ma l'unica che puoi dargli o almeno che ricerchi è quale destino affidargli. Deve essere ricoverato o può tornare a casa in relativa sicurezza? La diagnosi diventa un optional, la terapia un lusso, non puoi perdere tutto quel tempo. Non fai il medico. Sei nel vortice e ne vieni trasportato. L'anziana signora di 95 anni, ormai inconsapevole anche di essere al mondo, sta davanti a te: ma perché non è nel suo letto ad attendere il suo destino naturale? Perché il ragazzo ha avuto il coraggio di venire in Pronto soccorso per un banale mal di gola? Il territorio non esiste, siamo noi il parafulmine in una tempesta infinita. Lo stress cresce, la rabbia e la consapevolezza dell'impossibilità di approfondire il perché di tutto questo pure. Poi arriva l'emergenza, quella per cui vale la pena spendere tutto. Ci si dedica anima e corpo ma un occhio va sempre alla lista di attesa che aumenta. Sai già che pagherai caro esserti dedicato a questo codice rosso. Agli altri pazienti non importa cosa stai facendo, quando tornerai da loro ti aggrediranno per il tempo di attesa troppo lungo. Troverai una montagna di lavoro da smaltire che trascinerai fino al cambio del turno ed anche dopo, per non lasciare al collega una situazione troppo drammatica. Torni a casa distrutto, ti aspetta un piatto di pasta fredda ed i tuoi figli sono già a letto. Allora nella disperazione, quando il burn-out inizia a mangiarti l'anima, hai due possibilità. O inizi a chiedere consulenze inutili per situazioni che saresti perfettamente in grado di gestire da solo. Chiedi ecografie che non hai tempo di fare. Chiami l'anestesista per banali sedoanalgesie o il chirurgo per una sutura un po' più lunga. Smetti di fare il medico di emergenza, ciò a cui hai dedicato la vita, ed inizi a fare il vigile indirizzando pazienti da una parte all'altra. Sei considerato dagli altri specialisti un poveraccio, si lamentano per le continue richieste perché anche loro hanno il loro lavoro. Non sanno cosa c'è dietro. Oppure ignori la lista, dedichi il tempo che ogni paziente grave merita, fai il tuo lavoro come andrebbe fatto, paradossalmente lo fai con sentimento di protesta. È il modo migliore per essere disprezzato dal sistema. In Pronto Soccorso vogliono un medico "svuotatutto" non un medico bravo. Rabbia, depressione, stress, lacrime, stanchezza sangue e sudore si mescolano in mix devastante. Esci dal turno distrutto, ma non c'è riposo perché domani tutto ricomincia. I medici sono pochi, le persone scappano da questo massacro, e l'unica scelta che le amministrazioni sanno prendere è sfruttare ancora di più quelli che rimangono pur di tenere in piedi immutato questo sistema. Fino alla fine, finché uno rimane in piedi e non stramazza o decide, se ne ha la forza, di scappare prima. La vita sociale per noi è impossibile. Il weekend in cui le persone normali condividono la vita per noi non esiste, le serate davanti alla TV neanche. O si lavora o siamo distrutti dal lavoro. Tutto nella vita assume lo stesso sapore. Tutto perde di importanza. Tua mamma si sente sola ed è depressa, tuo figlio ha la febbre, deve andare dal dentista da 2 mesi ma non hai il tempo di portarlo. Ti chiede attenzione. Ma tutto questo passa in secondo piano. Finché il problema non è grave non può meritare attenzione, quella è catalizzata solo dal lavoro. Non riesci più a concentrarti su una attività, non porti niente a termine. Affronti la vita solo quando si presenta un'urgenza, un problema grande. Diventi progressivamente sempre più apatico, fino ad essere uno Zombie. Ma non è così la vita e lo sai. La vita è fatta di cose belle, grandi e piccole da godere, la vita è una sola e quando meno te lo aspetti può finire. Quando questi pensieri escono fuori l'unica scelta è abbandonare questo lavoro. Se fortunatamente queste idee vengono fuori prima di sceglierlo la scelta migliore è non iniziarlo neanche. Ecco l'essenza della crisi della medicina d'emergenza. Caro ministro non ce ne frega niente di 130 euro in più al mese, non ce ne frega niente degli incarichi professionali o delle promesse di carriera. Rivogliamo prima di tutto la nostra vita, fatta di giorni liberi, di ferie e di diritti. Vogliamo stare dietro ai nostri figli, vogliamo anche noi fare sport ed avere un hobby. Vogliamo la nostra dignità professionale e la possibilità di esercitare la nostra specialità ed il nostro lavoro con rispetto. Riorganizzate il sistema, il territorio, gli ospedali. Trovate un'altra destinazione per i codici minori. Fate ciò che volete ma rendeteci la possibilità di vivere da esseri umani e non da schiavi, altrimenti la libertà ce la riprenderemo da soli e sarà la fine di questo servizio».