
Attualità
L’inutilità della guerra: ricordo di uomo di pace
Riflessioni di Gennaro Piccolo, referente del centro Igino Giordani di Andria
Andria - giovedì 31 dicembre 2020
«Quando ho visto un Honvéd ungherese o un Kaiserjager austriaco ferito in un crepaccio di roccia, o rannicchiato in una fossa di granata, io non l'ho saputo odiare. Reo di lesa patria? Pazienza: non ho saputo spremere dal mio tessuto spirituale una stilla d'odio. E anche di fronte a quella faccia smorta e atterrita, mi sono ricordato del Logion di Gesù. Vedesti il fratello, vedesti il Signore».
Quando Igino Giordani scrive questa sua testimonianza ha alle spalle gli anni tragici della Grande Guerra e ha già intrapreso la sua avventura al fianco di Sturzo, quale impiegato all'ufficio stampa del Partito Popolare Italiano e collaboratore del settimanale «Il popolo». Giordani fu tra i primi a rispondere all'appello ai «liberi e forti» che Sturzo lanciò nel 1919. Materialmente, forse, non poté neanche udirlo, fra le corsie dell'ospedale dove stava cercando di sfuggire alla morte, dopo le gravi ferite riportate nella trincea di Asiago. Ma in modo del tutto esemplare, quel giovane di 25 anni, con il femore spappolato e la mano destra gravemente ferita, stava rispondendo con la propria vita alla chiamata sturziana.
I punti dell'appello sturziano erano già costitutivi di una coscienza civile e politica – quella di Giordani – matura a tal punto da essere scelto fra i più stretti collaboratori dell'avventura popolare che don Sturzo aveva appena intrapreso. Subito dopo essersi diplomato, e appena prima della partenza per la Scuola Militare di Modena, lo troviamo nelle piazze di Roma, a inveire contro i sostenitori dell'ingresso in guerra dell'Italia. Una volta un personaggio da lui stimato, ascoltando le grida lo ammonì: "Ma lei vuol farsi ammazzare?".
Ebbe a scrivere: «Già: io non capivo come si potesse generare alla vita un giovane, farlo consumare negli studi e nei sacrifici, al fine di maturarlo per un'operazione, in cui lui avrebbe dovuto uccidere gente a lui estranea, sconosciuta, innocente, ed egli a sua volta avrebbe dovuto farsi uccidere da gente alla quale non aveva fatto alcun male. Vedevo l'assurdità, la stupidità, e sopra tutto il peccato della guerra: peccato reso più acuto dai pretesti con cui la guerra si cercava e dalla futilità con cui si decideva» (in: Memorie di un cristiano ingenuo – Autobiografia, pag.47).
Il ricordo della sua impresa militare e della mutilazione riportata avrà anche un volto ironico quando da Deputato presenta in Parlamento il primissimo progetto di legge sull'obiezione di coscienza assieme al Deputato socialista Calosso. In Parlamento il clima era da guerra fredda e inimicizia politica. Figurarsi cosa poté succedere. Mentre Giordani parlava, piovvero accuse di vigliaccheria, codardia che provenivano soprattutto da giovani parlamentari. Di fronte a loro, Giordani stesso ci racconta come obiettò: «Per risparmiare loro la valanga spacconica, io modestamente feci notare che chi presentava alla Camera quella proposta era mutilato di guerra, decorato di medaglia d'argento al valore di guerra ecc..».
Spesso, incontrando Giordani gli si chiedeva: cosa possiamo fare noi per la Pace? L'eco della sua risposta è stampata nell'anima: «Aprire il cuore come una conchiglia a raccogliere la voce oceanica dell'umanità e mettere a circolare l'amore e la ricchezza…il bene e i beni, sopprimendo gli sbarramenti di razza e classe, le dogane dello spirito, i pedaggi della felicità; vedere nell'uomo, chiunque esso sia, facchino o barone, socialista o liberale, estero o nazionale, bianco o colorato, lo stesso Dio in effige» (in: Le due Città).
Quando Igino Giordani scrive questa sua testimonianza ha alle spalle gli anni tragici della Grande Guerra e ha già intrapreso la sua avventura al fianco di Sturzo, quale impiegato all'ufficio stampa del Partito Popolare Italiano e collaboratore del settimanale «Il popolo». Giordani fu tra i primi a rispondere all'appello ai «liberi e forti» che Sturzo lanciò nel 1919. Materialmente, forse, non poté neanche udirlo, fra le corsie dell'ospedale dove stava cercando di sfuggire alla morte, dopo le gravi ferite riportate nella trincea di Asiago. Ma in modo del tutto esemplare, quel giovane di 25 anni, con il femore spappolato e la mano destra gravemente ferita, stava rispondendo con la propria vita alla chiamata sturziana.
I punti dell'appello sturziano erano già costitutivi di una coscienza civile e politica – quella di Giordani – matura a tal punto da essere scelto fra i più stretti collaboratori dell'avventura popolare che don Sturzo aveva appena intrapreso. Subito dopo essersi diplomato, e appena prima della partenza per la Scuola Militare di Modena, lo troviamo nelle piazze di Roma, a inveire contro i sostenitori dell'ingresso in guerra dell'Italia. Una volta un personaggio da lui stimato, ascoltando le grida lo ammonì: "Ma lei vuol farsi ammazzare?".
Ebbe a scrivere: «Già: io non capivo come si potesse generare alla vita un giovane, farlo consumare negli studi e nei sacrifici, al fine di maturarlo per un'operazione, in cui lui avrebbe dovuto uccidere gente a lui estranea, sconosciuta, innocente, ed egli a sua volta avrebbe dovuto farsi uccidere da gente alla quale non aveva fatto alcun male. Vedevo l'assurdità, la stupidità, e sopra tutto il peccato della guerra: peccato reso più acuto dai pretesti con cui la guerra si cercava e dalla futilità con cui si decideva» (in: Memorie di un cristiano ingenuo – Autobiografia, pag.47).
Il ricordo della sua impresa militare e della mutilazione riportata avrà anche un volto ironico quando da Deputato presenta in Parlamento il primissimo progetto di legge sull'obiezione di coscienza assieme al Deputato socialista Calosso. In Parlamento il clima era da guerra fredda e inimicizia politica. Figurarsi cosa poté succedere. Mentre Giordani parlava, piovvero accuse di vigliaccheria, codardia che provenivano soprattutto da giovani parlamentari. Di fronte a loro, Giordani stesso ci racconta come obiettò: «Per risparmiare loro la valanga spacconica, io modestamente feci notare che chi presentava alla Camera quella proposta era mutilato di guerra, decorato di medaglia d'argento al valore di guerra ecc..».
Spesso, incontrando Giordani gli si chiedeva: cosa possiamo fare noi per la Pace? L'eco della sua risposta è stampata nell'anima: «Aprire il cuore come una conchiglia a raccogliere la voce oceanica dell'umanità e mettere a circolare l'amore e la ricchezza…il bene e i beni, sopprimendo gli sbarramenti di razza e classe, le dogane dello spirito, i pedaggi della felicità; vedere nell'uomo, chiunque esso sia, facchino o barone, socialista o liberale, estero o nazionale, bianco o colorato, lo stesso Dio in effige» (in: Le due Città).