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Attualità

Coronavirus, come isole lontane. L'intervista sull'impatto psicologico

Un'analisi delle dottoresse Papagni e delle andriesi Di Chio e Di Ruvo

Questo virus divide. Per strada ogni singolo individuo cambia traiettoria se la sua ha incrociato quella dell'altro. Isola. Così, da quel continente fatto di tante zolle, le terre prendono distanza fino a trasformarsi in isole. È lontano dalla natura di molti, è difficile da accettare, ma questo allontanamento obbligato presto sarà sostituito dagli abbracci. Abbiamo voluto incontrare, seppur virtualmente la dott.ssa in Psicologia Clinica, Angela Papagni e le psicologhe Sabrina Di Chio e Alessandra Di Ruvo, entrambe di Andria per affrontare il tema dell'isolamento. Tutte e tre fanno anche parte del team di volontari presso il Centro di Promozione Familiare di Barletta "Insieme con la coppia", che fornisce sostegno qualificato e gratuito ai singoli e alle famiglie, orientamento e supporto nei rapporti di coppia e con i figli.
Perché la maggior parte delle persone non riesce ad accettare l'isolamento forzato?
Angela Papagni, Dottoressa in Psicologia Clinica
«Credo, innanzitutto, che il problema principale sia non poter scegliere di fare altrimenti, dobbiamo tutti rispettare le regole relative alle misure di contenimento. E questo porta con sé un altro problema con cui fare i conti cioè lo stop alla produttività, il leitmotiv della società contemporanea in quella che gli psichiatri definiscono "Epoca della prestazione". Siamo tutti chiamati a fermarci e questo ha delle profonde ripercussioni sia in termini economici per alcune famiglie, sia in termini psicologici vista la crisi che genera questo essere confinati, che limita la possibilità di guardare all'opportunità di vivere questo come un momento per sé. Tutto quello che facciamo in termini di prestazioni professionali ci identifica, scandisce il nostro tempo, la nostra quotidianità. Adesso invece tutto è diverso, dobbiamo ridefinirci capaci di scorgere "i fiori tra l'asfalto" come canta Elisa nella sua canzone "Eppure sentire". La necessità di fermarsi non ci dà la possibilità di distrarci da ansie, paure che anzi, se possibile si amplificano, siamo costretti a guardarle in faccia, mentre assumono forme molto diverse, dobbiamo imparare a conviverci e a comprendere che cosa vogliono dirci. E questo può appesantirci, farci sentire stanchi e privi di energie e una dose rilevante di stress. La questione su cui è importante riflettere è che proprio lo stress attiva un sistema neurobiologico di risposta definito di attacco-fuga, ma in questo momento non è funzionale né l'una né l'altra reazione naturale. Dobbiamo esercitare la nostra capacità di esserci invece che di fare, la pazienza dell'attesa che tutto questo finisca. Noi stessi, le nostre famiglie, la società, siamo tutti sistemi che tendono all'omeostasi (l'attitudine alla stabilità) e inevitabilmente tutte le misure di contenimento, l'isolamento e la quarantena per qualcuno, minacciano questa omeostasi e richiedono di cambiare sia le abitudini che le priorità».
Nel quotidiano, com'è possibile reagire per sentirsi meno soli?
Sabrina Di Chio, Psicologa
«Siamo di necessità sollecitati a prendere le distanze l'uno dall'altro in termini radicali. Un distacco forzato che provoca l'esperienza amara della solitudine. Solo qualche mese fa molti di noi, costantemente affannati a causa di una routine fatta di mille impegni, erano alla ricerca di un momento di solitudine, una condizione di momentanea sospensione per ritrovare il proprio sé ed un equilibrio interiore. Tuttavia una solitudine forzata, come quella causata dalla quarantena, può generare uno stato temporaneo di disorientamento. La cura della relazione con l'altro può essere la bussola che ci guida, che permette di uscire mentalmente dall'isolamento e ci mette in contatto con l'altro. L'utilizzo delle nuove tecnologie da parte dei più giovani, da parte dei tanti studenti o lavoratori fuori sede può aiutare ad evitare il senso di isolamento e solitudine. L'opportunità di vedersi anche se solo attraverso uno schermo o semplicemente comunicare, come può accadere tra persone più anziane e loro familiari, rafforza i legami mentali affinché, un giorno, ricongiungersi sarà come se fossimo sempre stati insieme. Comunicare i propri pensieri e le proprie emozioni aiuta a non sentirsi solo e mette il proprio Io in relazione con l'altro, dando la possibilità di sentirsi accolti e meno isolati, in un clima affettivo positivo».
Quando tutto questo sarà finito, cosa vorrà dire per l'uomo ritornare a interagire con il mondo esterno?

Alessandra Di Ruvo, Psicologa
«Non possiamo dire con certezza ciò che accadrà e cosa questo significherà per l'uomo. Nonostante vi siano studi e teorie che descrivono il funzionamento dell'essere umano, non dobbiamo mai dimenticare che ognuno di noi ha sempre la facoltà di scegliere. Proprio come in terapia: il potere della terapia è del terapeuta, ma la responsabilità del cambiamento è del paziente. Pertanto solo se ognuno di noi proverà a rivolgere gli occhi dentro di sé e non solo fuori, se sarà in grado di mettere in atto le proprie capacità riflessive e quindi farà tesoro di ciò che ha vissuto in questa esperienza, allora potrà esserci un cambiamento. Un cambiamento in primis di se stessi e che inevitabilmente contagerà anche le relazioni. Solo elaborando quanto accaduto si potrà essere più consapevoli dell'importanza di un abbraccio, del tempo che scorre, di quanto la distanza possa far male, di quanto sia importante dire o fare qualcosa nel momento in cui lo si sente senza rimandare, di quanto l'uomo debba avere rispetto per la natura e il mondo che lo circonda, senza mai sentirsi padrone. È molto importante che ognuno elabori quanto sta accadendo perché altrimenti il rischio, come afferma Bion, è che il vissuto e le emozioni non elaborate, vengano evacuate in due modi: sul corpo attraverso sintomi fisici o verso l'esterno. Quindi bisogna sempre tenere a mente che la responsabilità del cambiamento è nelle mani di ognuno di noi».
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