Screenema

Weekend, il film proibito di Andrew Haigh

A cinque anni dalla sua uscita, arriva in Italia il primo film del regista britannico

Russell conosce Glen una sera in un locale e la mattina dopo si svegliano assieme. L'avventura di una notte diventa una storia che passa - come tutte le storie d'amore - attraverso il racconto delle paure, delle ferite, dei ricordi e dei desideri. Probabilmente se anziché due nomi maschili i due protagonisti avessero avuto un nome maschile e uno femminile la Commissione Nazionale di Valutazione Film della Conferenza Episcopale Italiana non avrebbe catalogato Weekend, il film di Andrew Haigh, come: "sconsigliato/non utilizzabile/scabroso" (poi per cosa dovrebbe essere utilizzabile un film non è dato sapere) e con molta probabilità il film sarebbe uscito anche da noi nel 2011 e non a cinque anni di distanza. Vero è che l'Italia rispetto agli altri Paesi è indietro su molte questioni non solo nella distribuzione dei film, che è il minore dei mali, ma questa è un'altra storia.

Tornando al film, Weekend infatti è il primo lungometraggio di Haigh, realizzato nel 2011, dopo la gavetta come regista di cortometraggio. In Italia la timeline della filmografia di Haigh è stata stravolta così, l'anno scorso abbiano avuto modo di vedere il suo 45 years (Charlotte Rampling era in corsa per gli Oscar dello scorso febbraio come migliore attrice protagonista) e solo quest'anno Weekend, in appena dieci sale in tutta Italia. Probabilmente ai moralisti e benpensanti la relazione pluriquarantennale di Kate e Geoff di 45 years sarà sembrata meno scabrosa, seppur con qualche scheletro nell'armadio. Alla fine infatti il matrimonio da guinness dei due attempati coniugi, dopo lo svelamento di una verità affiorata dal passato, barcollerà lasciando in sospeso una domanda: in tutti questi anni si è trattato di vero amore o solo di un piano B che si è rivelatosmoke in the eyes come cantano sarcasticamente i Platters nel soundtrack in sottofondo?

Dicevamo di Weekend. L'operazione di smontaggio della commissione CEI potrebbe sortire (noi pubblico ce lo auguriamo) l'effetto contrario. Le cose proibite, vietate e sconsigliate sono sempre le più affascinanti e uno spettatore critico è in grado di fare autonomamente i dovuti distinguo. Ora, le sorti di Weekend sono nelle mani del suo pubblico, la riprogrammazione nei cinema per la prossima settimana dipenderà, infatti, dalla risposta al botteghino del primo weekend (ironia della sorte) successivo alla data di uscita. E speriamo bene, perché la sensibilità artistica di questo regista britannico promette bene e merita di essere ascoltata. Se si accosta 45 years a Weekend emerge a chiare lettere il suo talento nel catturare l'intimità silenziosa delle relazioni di coppia di qualsiasi genere ed età, le alchimie che si instaurano, le affinità, le certezze e i piccoli smottamenti. La bellezza solida ma caduca al tempo stesso di un matrimonio duraturo come quello raccontato in 45 years, nella vicenda raccontata da Weekend si scontra con le difficoltà e i limiti di chi come Russell e Glen si trova costretto a fare i conti con il pregiudizio degli altri, pregiudizio che non è una prerogativa della finzione cinematografica ma che è (ahinoi!) tristemente reale. Eppure dovrebbe essere risaputo che quando si parla d'amore non è certo il sesso a fare la differenza perché il sentimento in sé, per sua natura, sfugge dalle redini di ogni logica e non si fa imbrigliare, non si lascia governare, né decifrare o tantomeno catalogare. Haigh questo lo sa benissimo e ce lo racconta attraverso le immagini, sin dalle prime scene, parlandoci di umanità. La sequenza iniziale che apre la narrazione e introduce i protagonisti, procede con una ripresa dall'esterno all'interno dell'abitazione di Russell. Un movimento della macchina da presa che è metafora del racconto: dall'esterno all'interno dell'uomo per scoprire i suoi disagi, le sue battaglie, i suoi casi irrisolti, le sue perplessità. Procedimento che si invertirà nelle scene finali quando la mdp assecondando l'evoluzione del personaggio ne seguirà la sua apertura la mondo, alla società manifestando ciò che sino a quel momento la paura aveva celato. Si passa così dall'amore desiderato ed immaginato all'amore comunicato con un bacio d'addio sulla banchina di una stazione. Ed è vero come dicono che hanno visto più baci (veri) le pareti di una stazione che quelle di una chiesa. Haigh ci racconta come, tuttora, l'amore e il sesso declinati a certi livelli possano spaventare, intimidire, far paura apparire folli e inammissibili. Ma quel amore non lo è? Nessun amore consce ragioni o sente il bisogno di giustificarsi, nessun amore dovrebbe mai. L'unico senso accettabile, l'unica condizione imprescindibile dell'amore è il dono, in quest'ottica la battuta di Russell che ad un certo punto dice «I've got so much love to give you» suona come una dichiarazione, un grido d'aiuto, la richiesta di una possibilità, la concessione di una chance per essere se stessi, per poter vivere liberamente la routine di una relazione, per potersi amare, annoiare, per poter litigare, detestarsi e subito dopo baciarsi e fare l'amore. La richiesta di Russell sarà accolta da Glen che condurrà il compagno alla scoperta del suo corpo, della sua sessualità e della sua identità. Dal canto suo Russell insegnerà al Glen a credere nuovamente nel potere delle relazioni, nell'abitudine dell'amore, nel per sempre.

Weekend è un film sull'amore vero e perciò difficile ed è soprattutto un film sull'assurdità di certi pregiudizi, perché quelli sono davvero inutilizzabili, scabrosi e sconsigliabili. Vivere l'amore che meritiamo, che ci ha scelti, ce si dona e che ci consuma, scabroso non lo è mai.

Al di là poi delle ipocrisie dietro le quali si nascondono i benpensanti finendo per credere alle loro menzogne, resta il fatto che il Cinema è Cinema e in quanto arte tutte le sue opere sono utilizzabili, nella misura in cui sollecitano il ragionamento, spronano l'approccio critico, suggeriscono domande, ipotizzano risposte, fanno nascere dibattiti, inducono lo scambio di idee, fanno crollare alcune certezze, edificandone altre, modificano i punti di vista, abbattono i luoghi comuni, si lasciano alle spalle la grettezza dei pregiudizi e foraggiano l'open-mindedness. Perché il Cinema al pari di tutte le altre espressioni artistiche è cibo per la mente e chi si rifiuta a priori di partecipare la banchetto senza aver assaggiato le pietanze, non saprà mai cosa si sta perdendo.
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