Screenema

Brooklyn, il sogno americano diventa realtà

Emigrare per essere: la ricerca di un'identità

Ancor prima di essere una questione politica e sociale, l'immigrazione è una questione identitaria, la ricerca del proprio posto nel mondo fuggendo da una realtà e da un passato troppo stretti, per ritrovarsi a pensare a chi o a cosa con il passato non ha nessun link e rendersi conto che "there is where your life is". Con queste parole, poco prima dei titoli di coda, il regista diBrooklyn, John Crowley, fa un fermo immagine della realtà degli immigrati, o almeno di quelli che ce l'hanno fatta. Prima di Brooklyn,The Immigrant, datato 2014, è la storia di Ewa/Marion Cotillard, di origini polacche, che arriva ad Ellis Island negli anni '20 (trent'anni prima della Eilis/Saoirse Ronan di Brooklyn), una storia dai toni seppia, la sua, ancor più dolorosa, eppure lo sfondo è il medesimo: l'esigenza, il sogno americano, il desiderio di una possibilità, la fuga da una famiglia/gabbia e il prezzo da pagare per tutto questo che si chiama homesickness, nostalgia, il dolore del ritorno, il rimpianto per luoghi, affetti, persone lontani nel tempo e nello spazio: il desiderio di ritornare che si scontra con la necessità di restare. Il premio per chi l'avrà vinta sulla nostalgia, per chi resisterà avrà un valore inestimabile e si chiamerà libertà. Libertà di essere se stessi, di ricominciare altrove. Di disegnarsi su misura la propria vita, fuori dagli schemi originari, oltre i confini geografici e sentimentali.

Ambientato negli anni Cinquanta, Brooklyn racconta una faccenda, quella dell'immigrazione, che ha radici profonde nel passato lontano, sempre in espansione nel terreno dell'attualità e in continua diramazione verso il futuro. Una storia antica come il mondo quella di migranti, di viaggi, di profughi, di clandestini, di fughe, una storia comune e condivisa che riguarda e coinvolge tutti direttamente o indirettamente. Siamo tutti migranti, tutti in attesa ad Ellis Island per avere il segno fatto col gesso sulla giacca per essere battezzati cittadini americani. L'umanità errante. La paura dello straniero è perciò il risultato di un'ignoranza bugiarda che mente a se stessa fingendo di dimenticare dove e quando si è imbarcata alla ricerca di nuovi mondi.

Brooklyn è il racconto di Eilis e della sua possibilità cercata, di un'occasione costruita, voluta e ottenuta con fatica e dolore e trovata oltreoceano dove si sentirà finalmente a casa. Ironia della sorte Eilis, che parte dall'Irlanda con destinazione New York, ha nel suo nome quello dell'isola che la accoglierà alla foce dell'Hudson. Nel nome un destino e una meta, nel nome la terra promessa dove far riposare il cuore e riuscire ad amare e a vivere senza necessariamente guardarsi indietro. Storia drammaticamente attuale come quelle di chi, sulle imbarcazioni della speranza, si lascia la terraferma alle spalle in cambio di un orizzonte azzurro e carico di salsedine e di promesse. Al pari di ben più illustri viaggiatori come Abramo, Dante e Odisseo, la fuga - reale o immaginata - costituisce sempre il primo passo della ricerca di sé, un andare instancabile per trovarsi e per riconoscersi.

Il film di John Crowley, riuscendo ad evitare cadute eccessivamente melodrammatiche, si rivela un lavoro composto e raffinato anche nell'espressione del dolore. Complice l'elegante interpretazione di Saoirse Ronan che racconta allo spettatore una vicenda di formazione dai colori caldi e dai toni pastello ben equilibrata e con temi dal respiro universale nel tempo e nello spazio. Il processo di cambiamento del personaggio della Ronan procede per aggiunte e per scoperte, anziché per sottrazione e permette al pubblico di percepire il dolce retrogusto della speranza divenuta realtà di chi riesce, come Eilis, ad approdare sulle sponde sicure della propria vita e del proprio destino e a fermarsi. Nel cuore, allora, il ricordo di quello che è stato, è una ferita che non sanguina più.
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