Screenema
Hamlet, «what a piece of work is a man»
Il Principe di Damimarca di Lyndsey Turner con Benedict Cumberbatch
sabato 23 aprile 2016
8.39
Con l'avvento del cinema, sebbene i fratelli Lumière al momento della loro invenzione non ne percepirono il valore potenziale ed inestimabile, il teatro e lo spettacolo dal vivo cominciarono a sentirsi minacciati. Per sua stessa natura infatti, il cinematografo garantì sin dalle sue origini una restituzione dell'immagine in termini di verità e realtà che il teatro non avrebbe potuto mai. A più di due secoli di distanza, la tecnologia cinematografica ha fatto passi da gigante, tanto da superare la realtà, profetizzando sui tempi che verranno e aprendo varchi su dimensioni sconosciute. L'evoluzione degli effetti speciali in digitale e dei canali di trasmissione e comunicazione hanno giocato, sotto questo punto di vista, un ruolo importante al punto tale che oggi, ironia della sorte, quella che sembrava essere una minaccia è diventata un'opportunità. Una su tutte: poter essere nella platea del Barbican di Londra e vedere in scena la compagnia del National Theatre, allontanandosi solo cinquanta chilometri da casa. Infatti, la Nexo Digital, casa di distribuzione e di produzione con sede a Milano, ha conquistato la nuova frontiera di un certo teatro spettacolare e internazionale, rendendolo fruibile a tutti, ovunque, grazie a riprese live, arricchite da contenuti, interviste e backstage e proiettate nei multiplex di tutta Italia. Ecco come cinema e teatro finiscono per lavorare fianco a fianco e anziché dividersi gli spettatori, li decuplicano. Orgoglio tutto italiano.
Ho personalmente sperimentato questa opportunità assistendo all'Hamlet di Lyndsey Turner con Benedict Cumberbatch presso il Barbican di Londra, nella sala del Multicinema Galleria di Bari. Ora, qualche fondamentalista dello spettacolo dal vivo obietterà sicuramente che il teatro non è teatro se viene registrato e proiettato, diventando cinema e perdendone le peculiarità emotive legate al hic et nunc e al buona la prima. Ebbene, devo dissentire. Il perché è legato ad una questione tecnica in prima istanza e dalla quale deriva inevitabilmente una lettura artistica. Le riprese infatti non sono una registrazione fatta ad hoc per il grande schermo ma sono realizzate durante una replica dello spettacolo. Pertanto non c'è spazio per tagli, ripetizioni, stacchi o montaggi riparatori. La macchina da presa in questo caso non rilegge la scena e ciò che in scena avviene a seconda di chi la manovra, ma è l'azione scenica stessa che ne conduce l'occhio meccanico come farebbe con quello umano dello spettatore. Perciò la mission dell'obiettivo della mdp non è reinterpretare il punto di vista ma accorciare le distanze geografiche, rendendo accessibile a tutti il grande teatro come il grande cinema. C'è da aggiungere che lo spettacolo resta in lingua originale e ovviamente evita il doppiaggio, tipico delle produzioni per il cinema , accessorio che il teatro non potrà mai concepire. Per fortuna, direi!
Fatta questa lunga ma necessaria premessa, torniamo all'Hamlet della Turner. Lo spettacolo (spettacolo in ogni senso)resta letteralmente addosso come un cappotto avvolgente, perché ha la capacità di andare oltre il testo, oltre la messa in scena. Dentro ci sta tutta l'umanità, tutto il dolore, tutto l'amore e tutta la vita specialmente. Shakespeare, a quattrocento anni di distanza, ha tuttora il merito, mai equiparato, di essere riuscito, in tempi non sospetti, a raccontare l'inenarrabile. La psicologia dell'uomo, che è psicologia del personaggio, nei dialoghi e nei monologhi del Bardo diventa una cosa semplice e alla portata di tutti. In tal modo, rivela perfettamente la natura e al tempo stesso la funzione primigenia del teatro come specchio della vita e delle umane passioni. Un gioco di riflessi e di riflessioni in cui ci si riconosce tutti, indistintamente, ad ogni latitudine, perché tocca le corde dell'animo umano che, da che mondo è mondo, parla la stessa lingua e si com-muove per le medesime ragioni.
Oggi invece, il merito che si deve riconoscere a Benedict Cumberbatch e a tutta la compagnia del National Theatre è di averci restituito generosamente tutta la fatica e l'emozione che sono alla base di un'opera teatrale, animandola e rendendola profondamente viva, così da riuscire a trasferire ogni battuta, ogni singolo gesto, ogni goccia di sudore, ogni lacrima, ogni sorriso con la stessa forza, con lo stesso vigore emotivo e con la stessa passione con cui il testo è stato concepito, dal palcoscenico alla platea e dalla pelle al cuore. A quel punto poco importa dove siete, perché ovunque voi siate, per tre ore e mezza sarete trasportati altrove, lì, nel Barbican e non in platea bensì nel bel mezzo di quel turbinio di emozioni vitali e primordiali che è il teatro da sempre. E che per sempre sarà. È questo il segreto della sua immortalità: il teatro è vivo ed è vita, è esperienza, scambio vicendevole di stati d'animo e di umori, in quella terra di mezzo, misteriosa e sospesa tra la sala e il palcoscenico. Per questo il teatro non conosce nemici ma alleati, fatta eccezione per chi, sbagliando, si autoconvincerà della obsolescenza di questa arte antica ma sempre nuova e facendolo si sottrarrà inevitabilmente al suo flusso di vibrazioni. D'altra parte, poi, è evidente che il potenziale della tecnologia è sempre vastissimo e incalcolabile: può far scoppiare guerre come può anche accendere gli animi, tutto dipende dall'indirizzo che le si conferisce, tutto dipende dall'uomo che la governa. Shakespeare lo sapeva già quattrocento anni fa quando scrisse per Hamlet queste parole:
«What a piece of work is a man, how noble in reason, how infinite in faculties, in form and moving how express and admirable, in action how like an angel, in apprehension how like a god!».
«Che capolavoro è l'uomo! Nobile d'intelletto, dotato d'una illimitata varietà di talenti; esatto nella sua forma e in tutti i suoi atti; compiuta, ammirevole creazione: pari a un dio nella mente, e nell'azione a un angelo».
Questo è il teatro, l'affresco vivente di un'umanità alla quale, per la durata di uno spettacolo, verrà concesso il privilegio di guardarsi vivere. Meraviglia!
Scegliere di scrivere proprio oggi di Hamlet e di Shakespeare non è frutto del caso. Il 23 aprile il Bardo nasceva e moriva esattamente 400 anni fa, data scelta anche per questo per celebrare la giornata mondiale del libro e del diritto d'autore. Perché Shakespeare è letteratura e teatro assieme, ma soprattutto è umanità: complessa, combattuta e straordinariamente imperfetta umanità.
Ho personalmente sperimentato questa opportunità assistendo all'Hamlet di Lyndsey Turner con Benedict Cumberbatch presso il Barbican di Londra, nella sala del Multicinema Galleria di Bari. Ora, qualche fondamentalista dello spettacolo dal vivo obietterà sicuramente che il teatro non è teatro se viene registrato e proiettato, diventando cinema e perdendone le peculiarità emotive legate al hic et nunc e al buona la prima. Ebbene, devo dissentire. Il perché è legato ad una questione tecnica in prima istanza e dalla quale deriva inevitabilmente una lettura artistica. Le riprese infatti non sono una registrazione fatta ad hoc per il grande schermo ma sono realizzate durante una replica dello spettacolo. Pertanto non c'è spazio per tagli, ripetizioni, stacchi o montaggi riparatori. La macchina da presa in questo caso non rilegge la scena e ciò che in scena avviene a seconda di chi la manovra, ma è l'azione scenica stessa che ne conduce l'occhio meccanico come farebbe con quello umano dello spettatore. Perciò la mission dell'obiettivo della mdp non è reinterpretare il punto di vista ma accorciare le distanze geografiche, rendendo accessibile a tutti il grande teatro come il grande cinema. C'è da aggiungere che lo spettacolo resta in lingua originale e ovviamente evita il doppiaggio, tipico delle produzioni per il cinema , accessorio che il teatro non potrà mai concepire. Per fortuna, direi!
Fatta questa lunga ma necessaria premessa, torniamo all'Hamlet della Turner. Lo spettacolo (spettacolo in ogni senso)resta letteralmente addosso come un cappotto avvolgente, perché ha la capacità di andare oltre il testo, oltre la messa in scena. Dentro ci sta tutta l'umanità, tutto il dolore, tutto l'amore e tutta la vita specialmente. Shakespeare, a quattrocento anni di distanza, ha tuttora il merito, mai equiparato, di essere riuscito, in tempi non sospetti, a raccontare l'inenarrabile. La psicologia dell'uomo, che è psicologia del personaggio, nei dialoghi e nei monologhi del Bardo diventa una cosa semplice e alla portata di tutti. In tal modo, rivela perfettamente la natura e al tempo stesso la funzione primigenia del teatro come specchio della vita e delle umane passioni. Un gioco di riflessi e di riflessioni in cui ci si riconosce tutti, indistintamente, ad ogni latitudine, perché tocca le corde dell'animo umano che, da che mondo è mondo, parla la stessa lingua e si com-muove per le medesime ragioni.
Oggi invece, il merito che si deve riconoscere a Benedict Cumberbatch e a tutta la compagnia del National Theatre è di averci restituito generosamente tutta la fatica e l'emozione che sono alla base di un'opera teatrale, animandola e rendendola profondamente viva, così da riuscire a trasferire ogni battuta, ogni singolo gesto, ogni goccia di sudore, ogni lacrima, ogni sorriso con la stessa forza, con lo stesso vigore emotivo e con la stessa passione con cui il testo è stato concepito, dal palcoscenico alla platea e dalla pelle al cuore. A quel punto poco importa dove siete, perché ovunque voi siate, per tre ore e mezza sarete trasportati altrove, lì, nel Barbican e non in platea bensì nel bel mezzo di quel turbinio di emozioni vitali e primordiali che è il teatro da sempre. E che per sempre sarà. È questo il segreto della sua immortalità: il teatro è vivo ed è vita, è esperienza, scambio vicendevole di stati d'animo e di umori, in quella terra di mezzo, misteriosa e sospesa tra la sala e il palcoscenico. Per questo il teatro non conosce nemici ma alleati, fatta eccezione per chi, sbagliando, si autoconvincerà della obsolescenza di questa arte antica ma sempre nuova e facendolo si sottrarrà inevitabilmente al suo flusso di vibrazioni. D'altra parte, poi, è evidente che il potenziale della tecnologia è sempre vastissimo e incalcolabile: può far scoppiare guerre come può anche accendere gli animi, tutto dipende dall'indirizzo che le si conferisce, tutto dipende dall'uomo che la governa. Shakespeare lo sapeva già quattrocento anni fa quando scrisse per Hamlet queste parole:
«What a piece of work is a man, how noble in reason, how infinite in faculties, in form and moving how express and admirable, in action how like an angel, in apprehension how like a god!».
«Che capolavoro è l'uomo! Nobile d'intelletto, dotato d'una illimitata varietà di talenti; esatto nella sua forma e in tutti i suoi atti; compiuta, ammirevole creazione: pari a un dio nella mente, e nell'azione a un angelo».
Questo è il teatro, l'affresco vivente di un'umanità alla quale, per la durata di uno spettacolo, verrà concesso il privilegio di guardarsi vivere. Meraviglia!
Scegliere di scrivere proprio oggi di Hamlet e di Shakespeare non è frutto del caso. Il 23 aprile il Bardo nasceva e moriva esattamente 400 anni fa, data scelta anche per questo per celebrare la giornata mondiale del libro e del diritto d'autore. Perché Shakespeare è letteratura e teatro assieme, ma soprattutto è umanità: complessa, combattuta e straordinariamente imperfetta umanità.