Screenema

Perfetti sconosciuti: il gioco delle tre vite, tra visibile e invisibile

Paolo Genovese svela i rischi dell'essere "frangibili"

La verità a tutti i costi non è giustizia a tutti i costi. Se è vero che in amore - come canta Fiorella Mannoia - non si perde mai, è vero anche che "siamo tutti frangibili". Certi svelamenti, certi strappi nel cielo provocherebbero un effetto domino distruttivo e irreversibile e soprattutto inconcludente. Gabriel Garcia Marquez diceva che ognuno di noi ha tre vite: una pubblica, una privata e una segreta. Segreta non vuol dire virtuale. Virtuale significa inespressa, allo stato potenziale e non è propriamente l'esatto contrario di reale. Se abbiamo integrato alle nostre vite gli strumenti tecnologici di comunicazione, vuol dire che questi, ormai, ne fanno parte di diritto, assieme a tutto quello che generano e che custodiscono. D'altronde siamo noi a scegliere cosa affidare alle nostre scatole nere. La libertà è sempre una questione di gestione del controllo e di assunzione di responsabilità. D'altro canto, le vite pubbliche, private e segrete non sono separate in compartimenti stagni. Pirandello era stato facile profeta, siamo quell'uno, quanto nessuno che centomila. A cambiare è il punto di vista interno ed esterno: come ci vediamo, come ci vedono e come vorremmo che ci vedessero gli altri. Sono tutte maschere che convivono al fine di costruire un'unica caleidoscopica identità. In tal modo, quello che non diciamo sostiene quello che scegliamo di dire. I segreti diventano l'impalcatura, lo scheletro della realtà. La distinzione non è tra verità e menzogna e il gioco si consuma sui confini sfocati del reale. La profondità e le stratificazioni che compongono l'animo umano ne influenzano inevitabilmente l'immagine in superficie. «The real face is under the surface» direbbe Bill Viola. Siamo il volto che scegliamo di mostrare, per convenzione, per convenienza, per non ferire, per amore o semplicemente perché, diversamente, il gioco non varrebbe la candela, perché il segreto di uno diventa la verità dell'altro e viceversa. È proprio nel solco tra ciò che viene custodito e quello che lasciamo andare che nascono le relazioni. Per amicizia ci prendiamo cura delle pene di qualcuno o ci facciamo carico dei suoi segreti condividendone il peso. La condivisione trasforma così il solo mio e il solo tuo in solo nostro e il rapporto si fa importante, mette radici nelle rocce e sopravvive alle piccole scosse quotidiane. I segreti poi, se svelati, non sono più così affascinanti.

Perfetti sconosciuti è (perdonate il gioco di parole) perfettamente costruito nei piccoli interstizi tra il visibile e l'invisibile. Un originale gioco teatrale che soddisfa la curiosità delle sliding doors: "cosa sarebbe successo se…?". La scrittura per la scena a cinque mani dimostra la fertile conoscenza della tradizione teatrale e cinematografica che precede il film di Paolo Genovese, da Stanislavskij a Polanski. L'ambientazione unica, l'invisibile presenza della quarta parete e il gioco del "magico se" riportano alla mente gli esercizi del Teatro d'Arte di Mosca dei primi anni del Novecento. La scoperta graduale dei personaggi e i colpi di scena rievocano le maschere sociali di pirandelliana memoria. Il desco casalingo medio-borghese rimanda inevitabilmente a Carnage e al francese Cena Tra Amici, riproponendone lo stesso climax nel tempo delle azioni e nel ritmo dei dialoghi. Teatro, cinema e vita si foraggiano vicendevolmente, così lo spettatore si scopre a spiare dal buco della serratura un convivio e i tipi umani che lo animano e quello che accadrà durante la cena rimarrà lì, in un tempo e in uno spazio sospesi - colpevole anche l'eclissi di luna - sul tavolo dei commensali.

I colpi di scena e i soggetti bizzarri potremmo dire che costituiscono il fil rouge con il quale, da tempo, Genovese imbastisce le trame della sua filmografia (basti pensare a Immaturi, La Famiglia perfetta, Tutta colpa di Freud) dimostrando un preciso controllo dei i tempi e dell'azione scenica, nonché del lavoro dell'attore su se stesso e sul personaggio, dipingendo un'umanità dalle pennellate cubiste. Sulle schermo - come sulla tela - emergono tipologie di donne e uomini contemporanei, con tutti i loro pregi e difetti ritratti come se li si stesse osservando contemporaneamente da più punti di vista, da più angolazioni e inquadrature. Il tableau vivant che ne viene fuori non è un'immagine bidimensionale ma un tutto tondo che si prende il suo spazio tanto in superficie quanto in profondità. E come per le espressioni artistiche dalle Avanguardie in poi, lo sguardo non basta. Non è il prodotto artistico che conta ma l'idea che sta dietro l'azione dell'artista. Per questa ragione Perfetti sconosciuti è un film da vedere e da leggere. Alle domande che iniziano con un se le risposte non possono essere che periodi ipotetici. Non esiste una soluzione assoluta o una formula che valga per tutti o per tutto. Considerando che ciascuno ha tre vite, gli incontri - mettendo ciascuna di esse in relazione con le vite degli altri - non fanno altro che aumentare esponenzialmente le combinazioni delle verità percepite e per questo impossibili da controllare.

La fede nuziale che ruota sul tavolo ricorderà a chiunque la trottola nella scena finale di Inception e il riferimento non sarà casuale. Probabilmente è vero che siamo fatti della stessa sostanza dei sogni e come i sogni siamo stratificati e la conoscenza procederà sempre per livelli superati o da superare. Ciò non toglie che restiamo sempre noi, tanto nel profondo quanto in superficie. Forse, parafrasando Rob Brezsny, alle volte dovremmo solo imparare a rinunciare alle cose belle per poterci sorprendere ad accogliere quelle meravigliose. Sono queste le occasioni in cui perdere è la vera vittoria.
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