
Attualità
"Senza sbarre": la gratitudine di don Riccardo Agresti verso la Fondazione Megamark
Nella comunità di San Vittore sarà inserita per la prima volta una donna
Andria - venerdì 20 giugno 2025
10.21
Generare forme inesplorate di umanità attraverso il riscatto lavorativo. È la missione quotidiana dell'andriese don Riccardo Agresti, classe 1961, sacerdote alla parrocchia San Luigi a Castel del Monte e responsabile del progetto diocesano "Senza sbarre" che si esplica con dedizione e spiritualità alla masseria fortificata sita nella contrada San Vittore. La proiezione di don Riccardo è stata fin da subito chiara: implementare una progettualità intorno all'essenza dell'uomo che, smarrita la retta via, potesse ricevere maggiori attenzioni per riparare un percorso accidentato.
In circa sei anni il progetto ha coinvolto più di centoventi persone; attualmente la struttura accoglie un gruppo di dodici uomini, tra residenziali e semiresidenziali, di età variegata, a partire dai diciotto anni. È fresca la novità del futuro ingresso, per messa alla prova, di una donna, la prima in tutto questo tempo, all'interno della comunità.
Il grande casale, circondato da dieci ettari di terreno murgiano, è un tarallificio artigianale di pregia qualità che assurge a «segno di corresponsabilità insieme alla divina provvidenza». Il tarallo diventa metafora di stabilità interiore e di riedificazione del proprio io. Il lavoro, che avviene attraverso l'impiego di materie prime accuratamente selezionate, pone al centro chi riceve: chi acquista e degusta le innumerevoli tipologie di taralli della cooperativa "A mano libera" compie un gesto d'amore verso chi è in cerca di una strada diversa e illuminante. Eppure molti consumatori si mostrano diffidenti e non riescono a cogliere il valore aggiunto dei produttori.
Per fortuna, però, ci sono imprenditori che sanno apprezzare l'inestimabile portata del progetto "Senza sbarre" e scelgono di investire negli uomini che producono i taralli, prima ancora che nel prodotto stesso. Dalla visione lungimirante e solidale è la Fondazione Megamark, onlus del Gruppo Megamark – di cui fanno parte i Superstore Famila, i Supermercati Dok, i Supermercati Sole 365 e la catena dei punti vendita di prossimità A&O – che vede a capo Giovanni e Francesco Pomarico, padre e figlio, rispettivamente fondatore e direttore generale nella predetta catena di distribuzione organizzata.
«La famiglia Pomarico ha sostenuto in mille modi il progetto profetico "Senza sbarre". Da grandi professionisti qual sono, Giovanni e Francesco, insieme a tutti i dipendenti, con umiltà e nel silenzio dimostrano spirito di servizio a favore dell'intera collettività» afferma con pieno senso di gratitudine don Riccardo Agresti per le azioni dai tratti caritatevoli da loro compiute senza chiedere di brillare sotto la luce dei riflettori: la fondazione Megamark è, infatti, tra i più generosi finanziatori. «I Pomarico hanno l'eleganza di sostituire l'"io" al "noi" e di conferire visibilità in senso unitario, perché la squadra è vincente se ogni singolo componente apporta il suo contributo».
È da cinque anni che il Gruppo Megamark ha sposato l'unione con "Senza sbarre", interpretando l'accezione intrinseca del greco antico "agape", ossia l'amore disinteressato, incondizionato e altruistico, il bene spirituale e superiore che accomuna l'abito talare di don Riccardo e la veste professionale dei Pomarico. Sugli scaffali dei loro negozi, infatti, sono sistemati in bella vista i taralli di "A mano libera" proprio per stimolarne la compera in un'ottica di socialità.
Ogni giorno si fanno i conti con le paure e i pregiudizi altrui. Con fatica, però, si avvia un cambiamento nei cuori e nelle menti di persone che hanno sì sbagliato, ma sono pronte a catapultarsi in nuove dinamiche sane e genuine. Dai dati registrati, infatti, il progetto "Senza sbarre" ha contribuito alla riduzione dei casi di recidiva; soltanto una minima percentuali di soggetti che in precedenza hanno vissuto a San Vittore è poi tornata in carcere. Dunque, gli effetti benefici del reinserimento in società sono più che tangibili. Il modello di don Riccardo è, quindi, da moltiplicare ed espandere oltre i confini andriesi: il sostegno della CEI (Conferenza Episcopale Italiana) e della Caritas, già alquanto supportive, è imprescindibile per poter proseguire con opere di altruismo sociale.
È dal 1992 che don Riccardo ha imparato a scandagliare il tessuto sociale di Andria e a comprenderne le ferite cagionate dalle inclinazioni delinquenziali. Piano piano ha cominciato a esercitare una vera e propria azione educativa nel suo territorio: nonostante all'inizio sia stato contrastato, ha perseverato imperterrito, affinché potessero germogliare nuove prospettive di esistenza per coloro che avevano sondato ambienti illeciti.
Don Riccardo, dunque, sentiva che era giunto per lui il momento di attivarsi e di costruire qualcosa di concreto per gli individui affascinati dalla malavita. La svolta definitiva è arrivata nel 2007 quando ha iniziato a effettuare, come assistente spirituale, le visite ai detenuti in carcere ove ha toccato con mano l'insufficienza e, forse, anche l'inadeguatezza dei programmi rieducativi che probabilmente non sortivano gli effetti sperati.
Quattro le fasi che hanno costellato il cammino di solidarietà di don Riccardo: la prima, appunto, è consistita nel varcare la soglia dell'istituto penitenziario; la seconda si è tradotta nell'intessere una rete con le istituzioni, al fine di agevolare l'uscita dal carcere per quei soggetti che potevano usufruire di misure alternative alla detenzione; la terza ha visto nascere la comunità "Senza sbarre"; la quarta, ancora in corso, sublima l'attività lavorativa di detenuti ed ex detenuti al servizio della collettività.
Come è intuibile, si tratta di individui che scelgono di redimersi dal loro passato: all'imposizione, cioè, dell'espiazione della pena a fronte di reati gravi – dai delitti contro il patrimonio a quelli avverso la persona – si accompagna la volontà di scrivere un punto zero dal quale ripartire con nuove consapevolezze. Alla base del rapporto con don Riccardo si pongono la lealtà e la fiducia: proprio perché c'è la riconversione simbolica da "feccia dell'umanità" a singoli di cui far esplodere il loro potenziale grazie a seconde opportunità, gli stessi condannati avvertono il calore di essere valorizzati come esseri umani.
È sicuramente complicato ribaltare un approccio predatorio in un altro votato alla riconciliazione innanzitutto con sé stessi e poi con il prossimo. Reinserirsi nel perimetro della legalità significa, in prima battuta, donarsi senza trarne profitto. Don Riccardo offre la possibilità di rinascere come uomini, sì censurati, ma con il potere di tracciare pagine inedite.
In masseria non ci sono agenti penitenziari e chi aderisce al progetto di riqualificazione della propria anima non scappa. Accetta di condurre giornate dignitose: sveglia alle ore 6, campanella lavorativa intorno alle ore 7 e termine nel pomeriggio alle ore 17, con ovvie pause per consentire al corpo di rigenerarsi e proseguire con grinta. Dal tardo pomeriggio, ci si dedica agli affetti personali e alle preghiere: è fondamentale, infatti, che lo Spirito Santo possa motivare il cambiamento della propria vita.
In circa sei anni il progetto ha coinvolto più di centoventi persone; attualmente la struttura accoglie un gruppo di dodici uomini, tra residenziali e semiresidenziali, di età variegata, a partire dai diciotto anni. È fresca la novità del futuro ingresso, per messa alla prova, di una donna, la prima in tutto questo tempo, all'interno della comunità.
Il grande casale, circondato da dieci ettari di terreno murgiano, è un tarallificio artigianale di pregia qualità che assurge a «segno di corresponsabilità insieme alla divina provvidenza». Il tarallo diventa metafora di stabilità interiore e di riedificazione del proprio io. Il lavoro, che avviene attraverso l'impiego di materie prime accuratamente selezionate, pone al centro chi riceve: chi acquista e degusta le innumerevoli tipologie di taralli della cooperativa "A mano libera" compie un gesto d'amore verso chi è in cerca di una strada diversa e illuminante. Eppure molti consumatori si mostrano diffidenti e non riescono a cogliere il valore aggiunto dei produttori.
Per fortuna, però, ci sono imprenditori che sanno apprezzare l'inestimabile portata del progetto "Senza sbarre" e scelgono di investire negli uomini che producono i taralli, prima ancora che nel prodotto stesso. Dalla visione lungimirante e solidale è la Fondazione Megamark, onlus del Gruppo Megamark – di cui fanno parte i Superstore Famila, i Supermercati Dok, i Supermercati Sole 365 e la catena dei punti vendita di prossimità A&O – che vede a capo Giovanni e Francesco Pomarico, padre e figlio, rispettivamente fondatore e direttore generale nella predetta catena di distribuzione organizzata.
«La famiglia Pomarico ha sostenuto in mille modi il progetto profetico "Senza sbarre". Da grandi professionisti qual sono, Giovanni e Francesco, insieme a tutti i dipendenti, con umiltà e nel silenzio dimostrano spirito di servizio a favore dell'intera collettività» afferma con pieno senso di gratitudine don Riccardo Agresti per le azioni dai tratti caritatevoli da loro compiute senza chiedere di brillare sotto la luce dei riflettori: la fondazione Megamark è, infatti, tra i più generosi finanziatori. «I Pomarico hanno l'eleganza di sostituire l'"io" al "noi" e di conferire visibilità in senso unitario, perché la squadra è vincente se ogni singolo componente apporta il suo contributo».
È da cinque anni che il Gruppo Megamark ha sposato l'unione con "Senza sbarre", interpretando l'accezione intrinseca del greco antico "agape", ossia l'amore disinteressato, incondizionato e altruistico, il bene spirituale e superiore che accomuna l'abito talare di don Riccardo e la veste professionale dei Pomarico. Sugli scaffali dei loro negozi, infatti, sono sistemati in bella vista i taralli di "A mano libera" proprio per stimolarne la compera in un'ottica di socialità.
Ogni giorno si fanno i conti con le paure e i pregiudizi altrui. Con fatica, però, si avvia un cambiamento nei cuori e nelle menti di persone che hanno sì sbagliato, ma sono pronte a catapultarsi in nuove dinamiche sane e genuine. Dai dati registrati, infatti, il progetto "Senza sbarre" ha contribuito alla riduzione dei casi di recidiva; soltanto una minima percentuali di soggetti che in precedenza hanno vissuto a San Vittore è poi tornata in carcere. Dunque, gli effetti benefici del reinserimento in società sono più che tangibili. Il modello di don Riccardo è, quindi, da moltiplicare ed espandere oltre i confini andriesi: il sostegno della CEI (Conferenza Episcopale Italiana) e della Caritas, già alquanto supportive, è imprescindibile per poter proseguire con opere di altruismo sociale.
È dal 1992 che don Riccardo ha imparato a scandagliare il tessuto sociale di Andria e a comprenderne le ferite cagionate dalle inclinazioni delinquenziali. Piano piano ha cominciato a esercitare una vera e propria azione educativa nel suo territorio: nonostante all'inizio sia stato contrastato, ha perseverato imperterrito, affinché potessero germogliare nuove prospettive di esistenza per coloro che avevano sondato ambienti illeciti.
Don Riccardo, dunque, sentiva che era giunto per lui il momento di attivarsi e di costruire qualcosa di concreto per gli individui affascinati dalla malavita. La svolta definitiva è arrivata nel 2007 quando ha iniziato a effettuare, come assistente spirituale, le visite ai detenuti in carcere ove ha toccato con mano l'insufficienza e, forse, anche l'inadeguatezza dei programmi rieducativi che probabilmente non sortivano gli effetti sperati.
Quattro le fasi che hanno costellato il cammino di solidarietà di don Riccardo: la prima, appunto, è consistita nel varcare la soglia dell'istituto penitenziario; la seconda si è tradotta nell'intessere una rete con le istituzioni, al fine di agevolare l'uscita dal carcere per quei soggetti che potevano usufruire di misure alternative alla detenzione; la terza ha visto nascere la comunità "Senza sbarre"; la quarta, ancora in corso, sublima l'attività lavorativa di detenuti ed ex detenuti al servizio della collettività.
Come è intuibile, si tratta di individui che scelgono di redimersi dal loro passato: all'imposizione, cioè, dell'espiazione della pena a fronte di reati gravi – dai delitti contro il patrimonio a quelli avverso la persona – si accompagna la volontà di scrivere un punto zero dal quale ripartire con nuove consapevolezze. Alla base del rapporto con don Riccardo si pongono la lealtà e la fiducia: proprio perché c'è la riconversione simbolica da "feccia dell'umanità" a singoli di cui far esplodere il loro potenziale grazie a seconde opportunità, gli stessi condannati avvertono il calore di essere valorizzati come esseri umani.
È sicuramente complicato ribaltare un approccio predatorio in un altro votato alla riconciliazione innanzitutto con sé stessi e poi con il prossimo. Reinserirsi nel perimetro della legalità significa, in prima battuta, donarsi senza trarne profitto. Don Riccardo offre la possibilità di rinascere come uomini, sì censurati, ma con il potere di tracciare pagine inedite.
In masseria non ci sono agenti penitenziari e chi aderisce al progetto di riqualificazione della propria anima non scappa. Accetta di condurre giornate dignitose: sveglia alle ore 6, campanella lavorativa intorno alle ore 7 e termine nel pomeriggio alle ore 17, con ovvie pause per consentire al corpo di rigenerarsi e proseguire con grinta. Dal tardo pomeriggio, ci si dedica agli affetti personali e alle preghiere: è fondamentale, infatti, che lo Spirito Santo possa motivare il cambiamento della propria vita.