
Attualità
Eccellenza andriese verso l'Irlanda: Assunta Catino
Laureata con il massimo dei voti, vola in Irlanda nella clinica Wasterstone Clinic a Cork, nel sud del Paese degli antichi Celti
Andria - martedì 11 aprile 2023
10.20
Di eccellenze ne abbiamo davvero tante, molte di queste spesso sono costrette ad emigrare, andar via alla ricerca di esperienze lavorative più complete. Questo accade quando il desiderio di conoscenza supera di gran lunga tutte le paure legate all'ignoto e anche quella di dover lasciare i propri affetti più cari.
Un viaggio carico di speranza con l'intento di poter tornare, un giorno, nuovamente a casa e trasferire le competenze acquisite.
Questa volta parliamo di una giovane donna andriese, determinata e talentuosa. Professionista della fecondazione assistita. Un settore di nicchia, specialmente qui in Puglia. Ha mosso i suoi primi passi, prima da tirocinante e poi da professionista nella clinica biscegliese Momò FertiLife.
Un'esperienza che ha determinato, in modo positivo, le sue scelte professionali. Stiamo parlando della dottoressa Assunta Catino, con le idee chiare e tante voglia di affermarsi professionalmente, anche a costo di essere lontano dai suoi affetti più cari.
Laureata con il massimo dei voti presto andrà a lavorare in Irlanda, nella clinica Wasterstone Clinic a Cork, la seconda città più popolosa del Paese dopo la capitale Dublino, situata nel sud, alla foce del fiume Lee. E così un'altra eccellenza andriese è pronta a partire, questa volta nel Paese dell'antico popolo dei Celti.
«Sono una biologa e ho conseguito una certificazione da embriologa clinica, riconosciuta principalmente a livello europeo, ma in realtà anche a livello mondiale. La certificazione riconosce tutti quegli che sono gli operatori esperti nel campo della fecondazione assistita» racconta. «Ho iniziato prima ancora che mi laureassi perché sempre alla Momò FertiLife ho fatto un tirocinio di circa sei mesi durante il quale ho sviluppato quella che è stata la mia tesi di laurea. Dopo la laurea sono rimasta a lavorare con loro, fino ad oggi. Sono trascorsi più di due anni da quel momento».
Come mai hai scelto di specializzarti in questo settore?
«In realtà è un settore che non conoscevo, fin quando non ho messo le mani in pasta. Mi è sempre piaciuto tutto ciò che avesse a che fare con le cellule riproduttive, quindi come avvenisse la fecondazione, quindi tutti i processi biologici che ci sono dietro la fecondazione» prosegue «Studiando, quindi, piano piano le varie materi all'università che avevano a che fare con questa disciplina mi sono piano piano interessata sempre di più, fino a quando durante l'università ho sostenuto l'esame di biotecnologie della riproduzione, con la professoressa Dell'Aquila. Che è un nome molto riconosciuto all'università di Bari. Ho preso anche il massimo 30 lode e immediatamente ho chiesto a lei di poter fare un tirocinio, una tesi in questa disciplina. Ed è stata lei che mi ha fatto conoscere il dott. Domenico Baldini che è il direttore della clinica di Bisceglie».
Di cosa parlava la tua tesi?
«Identificazione di bio marcatori non invasivi della competenza ovocitaria in pazienti fumatrici sottoposta a medicazione medicalmente assistista. Quindi in soldoni è stata fatta una ricerca utilizzando del materiale di scarto, riguardante le cellule uovo. In queste pazienti fumatrici per vedere se ci fossero degli indicatori che ci permettessero di fare differenze tra pazienti fumatrici e non fumatrice. Quindi l'incidenza del fumo sulla fertilità femminile»
Quindi il fumo incide sulla fertilità femminile?
«Si, purtroppo si!».
Dopo quest'esperienza, sei pronta per partire in Irlanda?
«In realtà questa partenza è stata anche abbastanza inaspettata perché io parallelamente alla riproduzione umana ho sempre avuto il desiderio di imparare bene l'inglese. Quindi ho fatto già delle esperienze all'estero, lavorando come ragazza alla pari una famiglia che mi ha ospitata e sapevo che avrei voluto continuare, facendo esperienze del genere. Motivo per cui è iniziato anche un po' a guardami intorno e fare dei colloqui in inglese, proprio perché volevo migliorare con l'inglese. È iniziato come una specie di gioco, ho iniziato a fare dei colloqui online per l'estero. Guardando anche i vari annunci, anche per capire all'estero questo settore se ci fossero delle differenze» prosegue «Ho fatto due colloqui e una di queste è con questa clinica irlandese che poi mi ha confermato che la mia esperienza è idonea alla figura che cercano e quindi mi hanno proposto un contratto».
Sei una ragazza molto intraprendente, hai fatto tutto da sola?
«Infatti non è stato semplicissimo, mi sono fatta un ragionamento su me stessa. Sul fatto che volessi uscire dalla mia zona di confort e quindi mettermi in gioco e cercare di buttarmi senza farmi prendere dalle paure che ovviamente avevo ed ho tutt'ora. All'inizio sarà una bella sfida perché li non ho nessuno, non conosco nessuno. Non ho un punto di riferimento».
Un settore che è un po' un tabù in Italia, o sbaglio?
«Si tanto soprattutto nel Sud Italia. È un settore di cui non se ne parla, ma che interessa molte persone, perché noi quotidianamente abbiamo a che fare con numerose coppie che vengono da noi perché non riescono a concepire un figlio. Anche coppie giovani. Anche under 30. Vengono anche un sacco di ragazzi, poco più di diciottenni a fare spermiogrammi di controllo da cui si evince che a diciott'anni non sono fertili».
Si conoscono le cause?
«No, principalmente sono cause sia genetiche che ambientali però il problema che adesso c'è e che con il tempo tenderà ad aumentare ancora di più. Da qui a 5 anni o 10 si espanderà moltissimo. Ci sarà molta più richiesta. Anche se già oggi c'è n' tantissima. Però ripeto è un tabù perché non se ne parla».
Il fatto di non poter concepire un figlio, in passato era vissuto come una vergogna. È ancora oggi così?
«Si. Infatti molte coppie arrivano da noi anche per un sostengo psicologico perché non ne palano neanche in famiglia. Quindi quando vengono da noi alcuni si lasciano proprio andare a pianti e noi cerchiamo di far capire che non sono gli unici, ma che in realtà è una problematica che riguarda tante persone. E che la ricerca sta facendo passi da giganti negli ultimi decenni. La ricerca è migliorata tantissimo, si hanno strumentazioni nuove che permettono uno sguardo più approfondito».
Ma di fatto cosa si fa in una clinica come quella biscegliese?
«La coppia arriva fa un primo consulto con il medico, il quale capisce un attimo la storia clinica della coppia e li indirizza verso un percorso piuttosto che un altro. Perché esistono diversi livelli di fecondazione assistita. C'è il primo livello che è la meno invasiva, poi c'è il secondo livello e poi un terzo livello. La clinica di Bisceglie è una clinica che fa secondo livello. Quindi sostanzialmente la coppia inizia questo percorso in cui si sottopongono ad una serie di analisi».
La fecondazione assistita vada sempre a buon fine?
«No anzi la percentuale di successo di questa tecnica è del 30% circa».
I costi sono alti?
«Si. La clinica biscegliese dove ho lavorato è privata. So che stanno cercando di aver una convenzione, dal punto di vista regionale pare non sia semplice. Bisognerebbe proprio educare all'infertilità anche perché queste coppie devono essere tutelate dal punto di vista statale, regionale. Tutte le spese che devono sostenere per ottenere una gravidanza. Sono spese importanti. Al momento in Puglia la Regione non dà il sussidio per poter far fronte a tutte queste spese».
La situazione è diversa da regione a regione?
«Si, ma perché c'è ancora tanta ignoranza in questo settore che non abbiamo una regolamentazione unica valida per tutta l'Italia. Ogni regione si gestisce da sola».
Invece, rispetto all'estero?
«All'esterno il discorso è ancora diverso perché a differenza dell'Italia c'è più flessibilità rispetto alla fecondazione assistita sia da parte delle tecniche che si possono effettuare. Ma anche dal punto di vista della concezione che le persone hanno dell'infertilità e delle tecniche della fecondazione assistita. Per esempio, all'esterno come in Inghilterra, Spagna e anche in Irlanda ci sono anche donatori di ovociti, spermatozoi. Le tecniche sono accessibili anche alle coppie omosessuali. Sono di più larghe vedute all'estero».
Cosa ti ha dato quest'esperienza? E cosa pensi di possa dare ancora una volta in Irlanda?
«Prima di tutto andando lì, oltre ad occuparmi della parte seminale inizierò dell'embriologia vera e propria, quindi mi aspetto una crescita professionale specialmente nell'ambito embriologico. E poi in Irlanda fanno anche tanta diagnosi preimpianto che è una realtà che abbiamo anche noi ma che è ancora poco sviluppata. L'impianto serve per capire se l'embrione è geneticamente sano. È un esame genetico molto invasivo per l'embrione perché bisogna prelevare per una decina di cellulare che vengono poi analizzate geneticamente. Questo tipo di analisi ci permette di capire se questo embrione possiede il numero corretto di cromosomi e addirittura se possono essere presenti già delle malattie come la fibrosi cistica».
Cosa ti spaventa di più?
«La comunicazione con i pazienti. Perché io parlo con i pazienti, farlo in inglese sarà più difficile».
Pura curiosità. Cosa ti porterai dalla tua città?
«Sicuramente il cibo. Io adoro tutti i prodotti caseari. Ho già parlato con i miei nonni per organizzare il famoso pacco da giù. Appena troverò una abitazione stabile, mi farò inviare un pacco con tutti i nostri prodotti locali. Sicuramente mangerò e condividerò con gli altri perché poi la parte bella di andare all'estero è conoscere tanta gente e anche un po' vantarsi della nostra cultura».
Dunque sei pronta?
«Sì, tutto sommato sì».
Pronta anche ad affrontare un clima diverso?
«Si mi hanno già preparato, che piove sempre. Io porterò il sole dentro».
Cosa senti di dire prima della partenza?
«Anche se sto andando via dalla Momò FertiLife. Io ci tengo davvero tanto a questa clinica. È stata per me un punto di riferimento. Io ci tengo tanto a loro. Devo molto a loro perché mi hanno fatto capire quanto questo settore mi piaccia e mi hanno dato il coraggio di affrontare un percorso così importante perché lì in clinica ho conosciuto un collega che ha vissuto 7 anni a Londra e poi è tornato in Italia e poi mi hanno dato tanti stimoli» e conclude «Da un lato mi spaventa e mi dispiace andare via perché con loro mi sono sempre trovata bene, mi hanno fatto sentire a casa e un sentimento contrastante se penso a quello che lascio. È una piccola famiglia quella che si è creata però dall'altro lato mi devo far coraggio e uscire dalla mia zona di confort».
Un viaggio carico di speranza con l'intento di poter tornare, un giorno, nuovamente a casa e trasferire le competenze acquisite.
Questa volta parliamo di una giovane donna andriese, determinata e talentuosa. Professionista della fecondazione assistita. Un settore di nicchia, specialmente qui in Puglia. Ha mosso i suoi primi passi, prima da tirocinante e poi da professionista nella clinica biscegliese Momò FertiLife.
Un'esperienza che ha determinato, in modo positivo, le sue scelte professionali. Stiamo parlando della dottoressa Assunta Catino, con le idee chiare e tante voglia di affermarsi professionalmente, anche a costo di essere lontano dai suoi affetti più cari.
Laureata con il massimo dei voti presto andrà a lavorare in Irlanda, nella clinica Wasterstone Clinic a Cork, la seconda città più popolosa del Paese dopo la capitale Dublino, situata nel sud, alla foce del fiume Lee. E così un'altra eccellenza andriese è pronta a partire, questa volta nel Paese dell'antico popolo dei Celti.
«Sono una biologa e ho conseguito una certificazione da embriologa clinica, riconosciuta principalmente a livello europeo, ma in realtà anche a livello mondiale. La certificazione riconosce tutti quegli che sono gli operatori esperti nel campo della fecondazione assistita» racconta. «Ho iniziato prima ancora che mi laureassi perché sempre alla Momò FertiLife ho fatto un tirocinio di circa sei mesi durante il quale ho sviluppato quella che è stata la mia tesi di laurea. Dopo la laurea sono rimasta a lavorare con loro, fino ad oggi. Sono trascorsi più di due anni da quel momento».
Come mai hai scelto di specializzarti in questo settore?
«In realtà è un settore che non conoscevo, fin quando non ho messo le mani in pasta. Mi è sempre piaciuto tutto ciò che avesse a che fare con le cellule riproduttive, quindi come avvenisse la fecondazione, quindi tutti i processi biologici che ci sono dietro la fecondazione» prosegue «Studiando, quindi, piano piano le varie materi all'università che avevano a che fare con questa disciplina mi sono piano piano interessata sempre di più, fino a quando durante l'università ho sostenuto l'esame di biotecnologie della riproduzione, con la professoressa Dell'Aquila. Che è un nome molto riconosciuto all'università di Bari. Ho preso anche il massimo 30 lode e immediatamente ho chiesto a lei di poter fare un tirocinio, una tesi in questa disciplina. Ed è stata lei che mi ha fatto conoscere il dott. Domenico Baldini che è il direttore della clinica di Bisceglie».
Di cosa parlava la tua tesi?
«Identificazione di bio marcatori non invasivi della competenza ovocitaria in pazienti fumatrici sottoposta a medicazione medicalmente assistista. Quindi in soldoni è stata fatta una ricerca utilizzando del materiale di scarto, riguardante le cellule uovo. In queste pazienti fumatrici per vedere se ci fossero degli indicatori che ci permettessero di fare differenze tra pazienti fumatrici e non fumatrice. Quindi l'incidenza del fumo sulla fertilità femminile»
Quindi il fumo incide sulla fertilità femminile?
«Si, purtroppo si!».
Dopo quest'esperienza, sei pronta per partire in Irlanda?
«In realtà questa partenza è stata anche abbastanza inaspettata perché io parallelamente alla riproduzione umana ho sempre avuto il desiderio di imparare bene l'inglese. Quindi ho fatto già delle esperienze all'estero, lavorando come ragazza alla pari una famiglia che mi ha ospitata e sapevo che avrei voluto continuare, facendo esperienze del genere. Motivo per cui è iniziato anche un po' a guardami intorno e fare dei colloqui in inglese, proprio perché volevo migliorare con l'inglese. È iniziato come una specie di gioco, ho iniziato a fare dei colloqui online per l'estero. Guardando anche i vari annunci, anche per capire all'estero questo settore se ci fossero delle differenze» prosegue «Ho fatto due colloqui e una di queste è con questa clinica irlandese che poi mi ha confermato che la mia esperienza è idonea alla figura che cercano e quindi mi hanno proposto un contratto».
Sei una ragazza molto intraprendente, hai fatto tutto da sola?
«Infatti non è stato semplicissimo, mi sono fatta un ragionamento su me stessa. Sul fatto che volessi uscire dalla mia zona di confort e quindi mettermi in gioco e cercare di buttarmi senza farmi prendere dalle paure che ovviamente avevo ed ho tutt'ora. All'inizio sarà una bella sfida perché li non ho nessuno, non conosco nessuno. Non ho un punto di riferimento».
Un settore che è un po' un tabù in Italia, o sbaglio?
«Si tanto soprattutto nel Sud Italia. È un settore di cui non se ne parla, ma che interessa molte persone, perché noi quotidianamente abbiamo a che fare con numerose coppie che vengono da noi perché non riescono a concepire un figlio. Anche coppie giovani. Anche under 30. Vengono anche un sacco di ragazzi, poco più di diciottenni a fare spermiogrammi di controllo da cui si evince che a diciott'anni non sono fertili».
Si conoscono le cause?
«No, principalmente sono cause sia genetiche che ambientali però il problema che adesso c'è e che con il tempo tenderà ad aumentare ancora di più. Da qui a 5 anni o 10 si espanderà moltissimo. Ci sarà molta più richiesta. Anche se già oggi c'è n' tantissima. Però ripeto è un tabù perché non se ne parla».
Il fatto di non poter concepire un figlio, in passato era vissuto come una vergogna. È ancora oggi così?
«Si. Infatti molte coppie arrivano da noi anche per un sostengo psicologico perché non ne palano neanche in famiglia. Quindi quando vengono da noi alcuni si lasciano proprio andare a pianti e noi cerchiamo di far capire che non sono gli unici, ma che in realtà è una problematica che riguarda tante persone. E che la ricerca sta facendo passi da giganti negli ultimi decenni. La ricerca è migliorata tantissimo, si hanno strumentazioni nuove che permettono uno sguardo più approfondito».
Ma di fatto cosa si fa in una clinica come quella biscegliese?
«La coppia arriva fa un primo consulto con il medico, il quale capisce un attimo la storia clinica della coppia e li indirizza verso un percorso piuttosto che un altro. Perché esistono diversi livelli di fecondazione assistita. C'è il primo livello che è la meno invasiva, poi c'è il secondo livello e poi un terzo livello. La clinica di Bisceglie è una clinica che fa secondo livello. Quindi sostanzialmente la coppia inizia questo percorso in cui si sottopongono ad una serie di analisi».
La fecondazione assistita vada sempre a buon fine?
«No anzi la percentuale di successo di questa tecnica è del 30% circa».
I costi sono alti?
«Si. La clinica biscegliese dove ho lavorato è privata. So che stanno cercando di aver una convenzione, dal punto di vista regionale pare non sia semplice. Bisognerebbe proprio educare all'infertilità anche perché queste coppie devono essere tutelate dal punto di vista statale, regionale. Tutte le spese che devono sostenere per ottenere una gravidanza. Sono spese importanti. Al momento in Puglia la Regione non dà il sussidio per poter far fronte a tutte queste spese».
La situazione è diversa da regione a regione?
«Si, ma perché c'è ancora tanta ignoranza in questo settore che non abbiamo una regolamentazione unica valida per tutta l'Italia. Ogni regione si gestisce da sola».
Invece, rispetto all'estero?
«All'esterno il discorso è ancora diverso perché a differenza dell'Italia c'è più flessibilità rispetto alla fecondazione assistita sia da parte delle tecniche che si possono effettuare. Ma anche dal punto di vista della concezione che le persone hanno dell'infertilità e delle tecniche della fecondazione assistita. Per esempio, all'esterno come in Inghilterra, Spagna e anche in Irlanda ci sono anche donatori di ovociti, spermatozoi. Le tecniche sono accessibili anche alle coppie omosessuali. Sono di più larghe vedute all'estero».
Cosa ti ha dato quest'esperienza? E cosa pensi di possa dare ancora una volta in Irlanda?
«Prima di tutto andando lì, oltre ad occuparmi della parte seminale inizierò dell'embriologia vera e propria, quindi mi aspetto una crescita professionale specialmente nell'ambito embriologico. E poi in Irlanda fanno anche tanta diagnosi preimpianto che è una realtà che abbiamo anche noi ma che è ancora poco sviluppata. L'impianto serve per capire se l'embrione è geneticamente sano. È un esame genetico molto invasivo per l'embrione perché bisogna prelevare per una decina di cellulare che vengono poi analizzate geneticamente. Questo tipo di analisi ci permette di capire se questo embrione possiede il numero corretto di cromosomi e addirittura se possono essere presenti già delle malattie come la fibrosi cistica».
Cosa ti spaventa di più?
«La comunicazione con i pazienti. Perché io parlo con i pazienti, farlo in inglese sarà più difficile».
Pura curiosità. Cosa ti porterai dalla tua città?
«Sicuramente il cibo. Io adoro tutti i prodotti caseari. Ho già parlato con i miei nonni per organizzare il famoso pacco da giù. Appena troverò una abitazione stabile, mi farò inviare un pacco con tutti i nostri prodotti locali. Sicuramente mangerò e condividerò con gli altri perché poi la parte bella di andare all'estero è conoscere tanta gente e anche un po' vantarsi della nostra cultura».
Dunque sei pronta?
«Sì, tutto sommato sì».
Pronta anche ad affrontare un clima diverso?
«Si mi hanno già preparato, che piove sempre. Io porterò il sole dentro».
Cosa senti di dire prima della partenza?
«Anche se sto andando via dalla Momò FertiLife. Io ci tengo davvero tanto a questa clinica. È stata per me un punto di riferimento. Io ci tengo tanto a loro. Devo molto a loro perché mi hanno fatto capire quanto questo settore mi piaccia e mi hanno dato il coraggio di affrontare un percorso così importante perché lì in clinica ho conosciuto un collega che ha vissuto 7 anni a Londra e poi è tornato in Italia e poi mi hanno dato tanti stimoli» e conclude «Da un lato mi spaventa e mi dispiace andare via perché con loro mi sono sempre trovata bene, mi hanno fatto sentire a casa e un sentimento contrastante se penso a quello che lascio. È una piccola famiglia quella che si è creata però dall'altro lato mi devo far coraggio e uscire dalla mia zona di confort».