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Crolla il prezzo del latte: chiesto l'intervento della Regione

Gli allevatori devono vendere 2 litri di latte per bersi un caffè al bar, 4 litri per comprare un pacco di caramelle

"Sono inaccettabili le dinamiche secondo le quali – denuncia il Presidente di Coldiretti Taranto, Alfonso Cavallo - un litro di latte alla stalla costa nella migliore delle ipotesi tra i 37 e i 39 centesimi – stesso prezzo di 20 anni fa - e un litro di latte al consumo arrivi a costare da euro 1,30 fino ad euro 1,60. La vera e unica indicizzazione di cui il comparto zootecnico in provincia di Taranto ha bisogno è il vincolo indissolubile tra il prezzo del latte alla stalla e il costo di latte e formaggi che i consumatori acquistano nei negozi e nei supermercati. Chiediamo, al contempo, che vengano intensificati i controlli, in modo da garantire la reale applicazione del Decreto sull'indicazione obbligatoria dell'origine del latte in etichetta, entrato in vigore il 19 aprile scorso, una infallibile cintura di sicurezza per i nostri allevatori che devono poter competere alla pari e per la salute dei consumatori che devono poter scegliere in maniera consapevole quello che acquistano e mangiano".
In altre parole gli allevatori devono vendere 2 litri di latte per bersi un caffè al bar, quattro litri per comprare un pacchetto di caramelle, quattro litri per una bottiglietta di acqua al bar e quasi 15 litri per un pacchetto di sigarette.

Per questo Coldiretti Puglia ha chiesto all'Assessore regionale alle Risorse Agroalimentari Di Gioia la convocazione urgente del tavolo della filiera lattiero – casearia, per concordare un prezzo del latte regionale, di cui si sente fortemente l'esigenza. Alla luce dell'entrata in vigore del Decreto sull'etichettatura obbligatoria, sono determinanti scelte chiare sotto svariati aspetti, a partire dal "sostegno ai sistemi produttivi e della trasformazione – scrivono Direttore e Presidente di Coldiretti Puglia, Corsetti e Cantele nella lettera all'Assessore Di Gioia - in termini promozionali e, più in particolare, in termini di programmazione di fondi pubblici che debbono, a nostro avviso, concentrarsi su aziende e filiere che esaltino il valore del Made in Puglia. È evidente a tutti che non esistono norme che impongano limitazioni, in un contesto di scambi globalizzati, ma è altrettanto evidente quanto le sensibilità circa il 'consumo consapevole' dei consumatori non siano "ininfluenti". Lei stesso patrocinò un tentativo di incontro lo scorso anno dagli esiti vani – continua la missiva di Coldiretti Puglia - a causa della mancata risposta del mondo della trasformazione. Disapprovò, inoltre, l'atteggiamento scorretto di quella parti della rappresentanza che disertarono i tavoli".

"I nostri allevamenti versano in una grave situazione – aggiunge Aldo De Sario, Direttore di Coldiretti Taranto - per colpa del prezzo del latte troppo basso e delle importazioni di latte e prodotti semilavorati dall'estero, utilizzati per fare mozzarelle e formaggi spacciati per 'Made in Puglia'. Per questo tutti i soggetti della filiera che hanno percepito finanziamenti pubblici non possono tirarsi indietro, devono rispettare fino in fondo il percorso di filiera intrapreso, anche sul fronte dei prezzi riconosciuti agli allevatori. Con la pratica troppo diffusa delle offerte e della vendita di prodotti a prezzi stracciati, anche una parte della Grande Distribuzione Organizzata rende insostenibili i costi di una produzione di qualità e realmente garante della sicurezza alimentare".
In Puglia a fronte dei 1.939 allevamenti che producono 3,6 milioni di quintali di latte bovino, le importazioni di latte dall'estero raggiungono i 2,7 milioni di quintali e i 35mila quintali di prodotti semi-lavorati quali cagliate, caseine, caseinati e altro, utilizzati per fare prodotti lattiero-caseari che vengono, poi, venduti come prodotti lattiero-caseari "Made in Puglia".

Dalle frontiere italiane passano – sottolinea la Coldiretti - ogni giorno 24 milioni di litri di "latte equivalente" tra cisterne, semilavorati, formaggi, cagliate e polveri di caseina, per essere imbustati o trasformati industrialmente e diventare magicamente mozzarelle, formaggi o latte italiani, all'insaputa dei consumatori.

L'indicazione di origine del latte o del latte usato come ingrediente nei prodotti lattiero-caseari che dovrà essere indicata in etichetta con:
a) "paese di mungitura: nome del paese nel quale è stato munto il latte";
b) "paese di condizionamento: nome della nazione nella quale il latte è stato condizionato"
c) "paese di trasformazione: nome della nazione nella quale il latte è stato trasformato".
Qualora il latte o il latte usato come ingrediente nei prodotti lattiero-caseari sia stato munto, condizionato e trasformato nello stesso paese, l'indicazione di origine può essere assolta - precisa la Coldiretti - con l'utilizzo della seguente dicitura: "origine del latte: nome del paese". Se invece le operazioni indicate avvengono nei territori di più paesi membri dell'Unione europea, per indicare il luogo in cui ciascuna singola operazione è stata effettuata possono essere utilizzate le seguenti diciture: "miscela di latte di Paesi UE" per l'operazione di mungitura, "latte condizionato in Paesi UE" per l'operazione di condizionamento, "latte trasformato in Paesi UE" per l'operazione di trasformazione. Infine, se le operazioni avvengono nel territorio di più paesi situati al di fuori dell'Unione Europea, per indicare il luogo in cui ciascuna singola operazione è stata effettuata possono essere utilizzate le seguenti diciture: "miscela di latte di Paesi non UE" per l'operazione di mungitura, "latte condizionato in Paesi non UE" per l'operazione di condizionamento, "latte trasformato in Paesi non UE" per l'operazione di trasformazione.
Più variegata la situazione di yogurt e formaggi, perché il provvedimento prevede che sarà possibile, per un periodo non superiore a 180 giorni, smaltire le scorte con il sistema di etichettatura precedente anche per tenere conto della stagionatura.
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