Luigi Dell'Olio
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Attualità

Intervista a Luigi dell'Olio, il giornalista andriese di "Repubblica" esperto di economia e finanza

«Anche se appare tutt'altro che sexy, l'economia è la chiave più importante per leggere il presente...»

Luigi dell'Olio, famoso giornalista professionista di origini andriesi, dove ha avviato giovanissimo la carriera giornalistica, si è trasferito a Milano dopo la laurea per formarsi e crescere in un posto che gli avrebbe offerto maggiori possibilità.

Lavora oggi per "Repubblica" e altre testate del gruppo Gedi, oltre a coordinare il mensile "Private", occupandosi di risparmio, investimenti e – più in generale – di temi economici. Un volto noto anche a numerosi spettatori, intervistato da canali Tv nazionali e private. «Anche se appare tutt'altro che sexy, l'economia è la chiave più importante per leggere il presente e per interpretare con spirito critico tutto ciò che ci viene comunicato dagli altri, che siano i mezzi di comunicazione, gli amici e parenti o i politici», spiega nell'intervista. E cita come esempi lo scoppio di una guerra, l'aumento dei prezzi dei beni che compriamo quotidianamente, le ondate migratorie e persino le mode, «tutte questioni che hanno cause e conseguenze economiche. Così come è importante acquisire le competenze necessarie a prendere decisioni corrette nella gestione dei propri risparmi e negli investimenti piuttosto che affidarsi a soggetti che spesso hanno interessi opposti ai nostri», sottolinea.

La sua esperienza di giornalista economico finanziario. Come è iniziata? Ce ne vuole parlare brevemente?
«L'intuizione di dedicarmi a questo settore l'ho avuta durante la scuola di giornalismo, quasi 20 anni fa. All'interno di un gruppo di ragazzi di altissimo profilo quanto a cultura e conoscenze, ho registrato uno scarso interesse verso questi temi e così mi sono detto che forse c'era spazio di mercato e valeva la pena provare trasformare la passione in mestiere»

Qual è attualmente l'andamento dell'economia italiana? E in particolare quella del Sud Italia? C'è il rischio di recessione?
«La recessione potrebbe anche verificarsi, ma sarebbe un fatto normale. I cicli economici sono fatti di alti e bassi e questi ultimi sono necessari per evitare gli eccessi. A mio avviso è invece importante concentrarsi sui trend di lungo periodo e, a proposito della sua domanda, le cito un dato di uno studio recente dell'Istat: negli ultimi dieci anni, mezzo milione di persone ha lasciato il Mezzogiorno per trasferirsi al Nord, se non all'estero. Mezzo milione significa ben più di tutti gli abitanti della Bat. Per lo più si tratta di giovani e con un buon livello di scolarizzazione: risorse che avrebbero potuto guidare il riscatto del Sud e che invece portano le loro competenze, il loro entusiasmo altrove»

Secondo lei che tipo di politiche potrebbe favorire il rilancio del Sud e cosa serve per trattenere i nostri giovani?
«Sarei ridicolo se pensassi di avere la ricetta per risolvere un problema così grande e del quale si dibatte dall'unità d'Italia. Le segnalo, però, quello che mi ha detto di recente un banchiere in una conversazione informale: "Il Sud avrebbe bisogno di più fiducia". Lì per lì non mi è stato chiaro il significato, ma poi ha incalzato: "Fiducia nei suoi giovani, che non sono secondi a nessuno per creatività e ingegno, fiducia nel bene comune, in chi fa impresa e crea occupazione". La fiducia non si costruisce dal nulla, né è un bene disponibile sul mercato: è un sentimento che si conquista sul campo e che è messo alla prova giorno per giorno, eppure non esiste forza più grande per far progredire una comunità, anche dal punto di vista economico»

Poi c'è il lavoro che manca…
«Il lavoro a mio avviso è il tema centrale: per crescere davvero il Sud non ha bisogno di assistenzialismo, ma di maggiori opportunità occupazionali. Il cittadino che si è costruito professionalmente da solo non è ricattabile e sarà più orientato a scegliere rappresentanti istituzionali politici in grado di fare davvero il bene comune e non solo chi promette un posto di lavoro. Così si crea un circolo virtuoso che è alla base della crescita e del benessere. Non dimentichiamo, poi, che il lavoro non è solo un mezzo per guadagnarsi da vivere, ma anche un'espressione di socialità, uno strumento per metterci alla prova e per realizzarci come persone. Creare lavoro significa restituire dignità ed entusiasmo a chi lo ha perso, ha un altissimo valore sociale ed è la medicina più utile per combattere le marginalità e ridurre i fenomeni criminali»

Ancora oggi, le donne sono molto penalizzate nell'ambito lavorativo/professionale. Esiste una ricetta per invertire il trend?
«Mi riallaccio alla prima domanda. Dicevamo dell'importanza dell'economia… l'indipendenza di una persona passa anche per la sua indipendenza economica. Per secoli le donne sono state escluse dal mercato del lavoro e queste le ha rese sottomesse ai mariti, poi la situazione per fortuna è cambiata, ma ancora oggi in Italia lavora solo una donna su due e nel Mezzogiorno l'incidenza è sensibilmente inferiore. Insomma, resta ancora molto da fare»

Da dove iniziare?
«Tutte le ricerche dicono che l'occupazione femminile è più bassa nei territori con pochi nidi e per fortuna il Pnrr ha previsto stanziamenti importanti per incrementare l'offerta soprattutto al Sud. È importante che queste risorse vengano impiegate al meglio e non disperse o, peggio ancora, risucchiate dalla corruzione e dalla criminalità. Così come è importante che le donne siano più rappresentate nei luoghi in cui si decide. Negli ultimi tempi vi sono stati dei passi in avanti e occorre proseguire su questa strada non solo perché è giusto, ma anche perché la differente sensibilità tra uomini e donne è un fattore di arricchimento per l'intera società: aiuta a prendere decisioni più calibrate e inclusive. I Paesi con i più alti tassi di occupazione femminile e con un ridotto gap retributivo tra i generi sono quelli che crescono maggiormente nel tempo»
  • Economia
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