
Vita di città
Ulisse riuscì a tornare a casa… Io non ne sono sicura!
L'odissea dei pendolari alle prese con Ferrotramviaria: “Ci scusiamo per il disagio”
Andria - mercoledì 27 settembre 2017
16.33
Vetusta, ripetitiva e noiosa. La questione riguardante i disagi di mobilità che attanaglia ormai da oltre un anno il Nord barese potrà aver seccato qualcuno. Tuttavia, tutti quei poveri pendolari che, come me, continuano a sentirsi martiri di una situazione stantia e dimenticata dai "piani alti", non possono far a meno di lamentarsi e lagnarsi della situazione attuale con meno vigore, nell'ottimistica (e vana) convinzione che le lamentele, se costanti e corali, possano accelerare la rotazione del globo e qualche garbuglio burocratico. Dunque, non resta che lamentarsi.
Che sia per lavoro o studio, un elevato numero di cittadini andriesi ogni giorno è costretto a muoversi con mezzi di trasporto quali treni o pullman e a recarsi nel capoluogo pugliese, ammesso che ci arrivi, s'intende. Corse fantasma, presenti sul sito e assenti nella realtà, cominciano a spaventare di prima mattina i viaggiatori (perché il buongiorno si vede dal mattino) e a ben poco servono le imprese da Ghostbusters degli addetti alla biglietteria che segnalano i suddetti fantasmi a chi di dovere. Ad oggi, dopo varie segnalazioni, rimangono le incongruenze tra gli orari sul sito della Ferrotramviaria e le corse effettuate (occhio! Gli orari correnti sono presenti solo in formato cartaceo nei pressi della biglietteria), causando non pochi disagi.
Ammesso che non sia stato irrimediabilmente perso un volo o un appuntamento importante, le fila della resistenza formata da nostalgici e fedeli della Ferrotramviaria (perché talvolta non si può far altrimenti) rimangono in speranzosa attesa del nocchiero che li conduca alla meta, mentre i disertori si avviano verso i differenti orizzonti della Stp e Trenitalia o del car sharing. Inutile soffermarsi sulla disagevole esperienza della combinazione pullman-treno che a questo punto risulta essere il minore dei mali, soprattutto in seguito alla riduzione del tempo di percorrenza dei 45 km che separano Andria da Bari, ridottasi da 2 ore a un'ora e mezza circa.
Se, come si dice, chi ben comincia è a metà dell'opera, il ritorno in patria dei veterani non risulta meno irto di pericoli. È quando sul tabellone si legge "soppresso" che un dolore colpisce in pieno volto. Sbam! Nove lettere, una parola, che fa male come la fame dopo l'università, come la cartella pesante sulle spalle, come l'incertezza sulla vita e i programmi che ti crollano. La folla mormora, tenta una protesta e inevitabilmente si seda davanti all'impotenza. A testa in su tutti fissano il tabellone su cui i numerini che segnalano il ritardo crescono di valore e si moltiplicano generando un effetto domino di disagi. La calca di gente si infittisce: si sbuffa, si ipotizza, si chiamano i cari per un addio telefonico e quando il treno finalmente arriva parte la corsa ai posti che trasforma in Bolt anche la nonnina col bastone.
In piedi, seduti o schiacciati che siano, a tutti i passeggeri tocca un'odissea lunga tre ore per arrivare ad Andria. Dopo inspiegabili soste in tunnel claustrofobici e coincidenze attese senza alcuna spiegazione, tutte le speranze e le orecchie sono tese alla voce al microfono che candidamente taglia corto: "A causa di problemi tecnici la corsa riprenderà il prima possibile. Ci scusiamo per il disagio".
"Ci scusiamo per il disagio". Come se "Ci scusiamo per il disagio" bastasse a non ricevere il rimprovero del capo, a far tornare indietro il tempo o a non far decollare un aereo. Nessun rimborso, nessuna riduzione del biglietto, mai. Sempre e solo "Ci scusiamo per il disagio" perché, si sa, è il pensiero che conta. Con quattro treni soppressi e 40/50/60 minuti di ritardo, i pochi sopravvissuti hanno atteso a Ruvo le scialuppe di salvataggio su quattro ruote che, sovraffolate o in ritardo, hanno condotto a casa i soldati.
Questo è il racconto (romanzato, ma neanche tanto) di una giornata, quella di martedì 26 settembre, che vale per molti altri giorni.
Questo è il racconto di una studentessa al quinto anno di università che dà voce ai disagi di molti altri viaggiatori.
Questa è la storia tragicomica dei pendolari del Nord Barese a cui non rimane che sperare... O, al massimo, lamentarsi.
Che sia per lavoro o studio, un elevato numero di cittadini andriesi ogni giorno è costretto a muoversi con mezzi di trasporto quali treni o pullman e a recarsi nel capoluogo pugliese, ammesso che ci arrivi, s'intende. Corse fantasma, presenti sul sito e assenti nella realtà, cominciano a spaventare di prima mattina i viaggiatori (perché il buongiorno si vede dal mattino) e a ben poco servono le imprese da Ghostbusters degli addetti alla biglietteria che segnalano i suddetti fantasmi a chi di dovere. Ad oggi, dopo varie segnalazioni, rimangono le incongruenze tra gli orari sul sito della Ferrotramviaria e le corse effettuate (occhio! Gli orari correnti sono presenti solo in formato cartaceo nei pressi della biglietteria), causando non pochi disagi.
Ammesso che non sia stato irrimediabilmente perso un volo o un appuntamento importante, le fila della resistenza formata da nostalgici e fedeli della Ferrotramviaria (perché talvolta non si può far altrimenti) rimangono in speranzosa attesa del nocchiero che li conduca alla meta, mentre i disertori si avviano verso i differenti orizzonti della Stp e Trenitalia o del car sharing. Inutile soffermarsi sulla disagevole esperienza della combinazione pullman-treno che a questo punto risulta essere il minore dei mali, soprattutto in seguito alla riduzione del tempo di percorrenza dei 45 km che separano Andria da Bari, ridottasi da 2 ore a un'ora e mezza circa.
Se, come si dice, chi ben comincia è a metà dell'opera, il ritorno in patria dei veterani non risulta meno irto di pericoli. È quando sul tabellone si legge "soppresso" che un dolore colpisce in pieno volto. Sbam! Nove lettere, una parola, che fa male come la fame dopo l'università, come la cartella pesante sulle spalle, come l'incertezza sulla vita e i programmi che ti crollano. La folla mormora, tenta una protesta e inevitabilmente si seda davanti all'impotenza. A testa in su tutti fissano il tabellone su cui i numerini che segnalano il ritardo crescono di valore e si moltiplicano generando un effetto domino di disagi. La calca di gente si infittisce: si sbuffa, si ipotizza, si chiamano i cari per un addio telefonico e quando il treno finalmente arriva parte la corsa ai posti che trasforma in Bolt anche la nonnina col bastone.
In piedi, seduti o schiacciati che siano, a tutti i passeggeri tocca un'odissea lunga tre ore per arrivare ad Andria. Dopo inspiegabili soste in tunnel claustrofobici e coincidenze attese senza alcuna spiegazione, tutte le speranze e le orecchie sono tese alla voce al microfono che candidamente taglia corto: "A causa di problemi tecnici la corsa riprenderà il prima possibile. Ci scusiamo per il disagio".
"Ci scusiamo per il disagio". Come se "Ci scusiamo per il disagio" bastasse a non ricevere il rimprovero del capo, a far tornare indietro il tempo o a non far decollare un aereo. Nessun rimborso, nessuna riduzione del biglietto, mai. Sempre e solo "Ci scusiamo per il disagio" perché, si sa, è il pensiero che conta. Con quattro treni soppressi e 40/50/60 minuti di ritardo, i pochi sopravvissuti hanno atteso a Ruvo le scialuppe di salvataggio su quattro ruote che, sovraffolate o in ritardo, hanno condotto a casa i soldati.
Questo è il racconto (romanzato, ma neanche tanto) di una giornata, quella di martedì 26 settembre, che vale per molti altri giorni.
Questo è il racconto di una studentessa al quinto anno di università che dà voce ai disagi di molti altri viaggiatori.
Questa è la storia tragicomica dei pendolari del Nord Barese a cui non rimane che sperare... O, al massimo, lamentarsi.