
Attualità
Primo Maggio: la dignità del lavoro
Gennaro 'Gino' Piccolo condivide uno scritto di Igino Giordani in "Le due città"
Andria - domenica 1 maggio 2022
Dall'esser un'attività naturale, personale e sociale, imposta da Dio, necessaria alla vita terrena e ordinata alla vita celeste, viene al lavoro una dignità, in cui in certo modo si raduna la dignità della persona umana. Quando il lavoratore è ridotto a schiavo, e cioè quando si abusa del suo lavoro, passando sopra alla sua anima, la sua dignità personale è fatta a brani nella misura che è fatto scempio della dignità del suo lavoro. Spregiato il lavoro è spregiato chi lo compie: da questo dispregio nacque la schiavitù moderna del proletariato.
Il fatto che si parli tanto del lavoro, e se ne faccia motivo determinante di dottrine e di partiti, non significa sempre che si valuti a pieno questa dignità: può talora significare un'altra forma di sfruttamento. Abbiamo accennato a un tipo di proletariato spirituale, provocato da un trattamento che, se economicamente sfama il corpo, spiritualmente affama lo spirito. Uno che vedesse del lavoro solo il lato della produzione, non mostrerebbe di avere del lavoratore una stima diversa da quella di un aratro, un obe, un motore; la stima che ne aveva Catone il Vecchio il quale non valutava che il rendimento.
Il lavoro conserva il suo valore se inserito nella scala dei valori umani, garantiti dalla legge divina. Se lavorando si vede l'immagine di Dio, anzi il Figlio di Dio che lavora, l'uomo è grande cosa: se lavorando invece si vede l'appendice della macchina, l'uomo è cosa he vale meno di una puleggia. Togliete i valori spirituali dell'uomo, la sua anima, la sua redenzione, e crolla anche il prezzo del lavoro, che diventa articolo di mercato, solo affare di rendimento, semplice fattore della produzione. E il pericolo è qui. E la lotta più grande che la religione oggi sostiene contro i nemici dell'uomo, si combatte su questo settore, e mira a impedire la degradazione della creatura razionale a utensile.
Il fatto che si parli tanto del lavoro, e se ne faccia motivo determinante di dottrine e di partiti, non significa sempre che si valuti a pieno questa dignità: può talora significare un'altra forma di sfruttamento. Abbiamo accennato a un tipo di proletariato spirituale, provocato da un trattamento che, se economicamente sfama il corpo, spiritualmente affama lo spirito. Uno che vedesse del lavoro solo il lato della produzione, non mostrerebbe di avere del lavoratore una stima diversa da quella di un aratro, un obe, un motore; la stima che ne aveva Catone il Vecchio il quale non valutava che il rendimento.
Il lavoro conserva il suo valore se inserito nella scala dei valori umani, garantiti dalla legge divina. Se lavorando si vede l'immagine di Dio, anzi il Figlio di Dio che lavora, l'uomo è grande cosa: se lavorando invece si vede l'appendice della macchina, l'uomo è cosa he vale meno di una puleggia. Togliete i valori spirituali dell'uomo, la sua anima, la sua redenzione, e crolla anche il prezzo del lavoro, che diventa articolo di mercato, solo affare di rendimento, semplice fattore della produzione. E il pericolo è qui. E la lotta più grande che la religione oggi sostiene contro i nemici dell'uomo, si combatte su questo settore, e mira a impedire la degradazione della creatura razionale a utensile.