Roberta Civita
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Commento

Femminicidio ad Andria: «Io, la paura di essere donna, di stare al mondo, di tornare a casa da sola e non essere importunata»

Una profonda riflessione di Roberta Civita, studentessa del 3° liceo classico Carlo Troya, animatrice parrocchiale del ACR

Una profonda riflessione di Roberta Civita, studentessa del 3° liceo classico Carlo Troya, animatrice di un percorso educativo di giovani e bambini dell' ACR, presso la parrocchia del Sacro Cuore di Andria.

«L'ennesimo femminicidio questa volta ad Andria, la mia, la nostra città.
La paura di essere donna, di stare al mondo, di tornare a casa da sola e non essere importunata, di indossare una gonna anziché i pantaloni, di aver accanto un uomo o un ragazzo, di essere guardata, di ricevere complimenti sessisti, di essere stuprata, di essere violentata, di non esserci più da un giorno all'altro crescono.
È un incubo, una cosa fuori dal normale, é impensabile che una donna, un'adolescente, una bambina debbano vivere nel terrore a causa di uomini folli che hanno l'idea che la donna sia un loro possesso, che la donna sia loro serva, che la donna debba ascoltare e acconsentire ai loro ordini, che la vita della donna dipenda dalla loro volontà, che la donna sia inferiore, che la donna non sia libera e non possa essere ciò che vuole. Uomini folli con istinto animale che credono di avere il diritto di poter fare qualunque cosa nel momento in cui la loro donna viene meno alle loro credenze.
E così, non è uno scherzo, per tutti coloro che uccidono, violentano, stuprano, picchiano, minacciano, vietano, controllano, inseguono, non accettano, sono gelosi, è proprio così.
In tanti, però lo negano perché "erano una famiglia/una coppia normale che viveva bene, era felice", "lui era un uomo educato", "nessuno mai lo avrebbe detto o pensato che avrebbe potuto compiere un gesto così", "era un uomo colto, intelligente". No, purtroppo non è questa la realtà, sono solo apparenze, è solo volontà di vederlo e descriverlo così, perché se un uomo compie qualunque gesto di violenza, dalla minima gelosia all'uccisione della donna che tanto diceva di amare, non è un uomo descrivibile attraverso queste parole, bensì è un uomo violento, possessivo, manipolatore, temibile, pericoloso, è un mostro...il mostro che la donna teme, spesso però davanti alla sua richiesta d'aiuto si tende a giustificare, perché "eh vabbè se l'è cercata con quella gonna così corta", "eh vabbè, ma lei faceva comunque quello che voleva e non lo ascoltava", "eh vabbè, è andata in discoteca senza di lui", "eh vabbè, è uscita senza dirglielo", "eh vabbè, è uscita con un amico", "eh vabbè, era ubriaca", "eh vabbè, lo aveva lasciato"; "eh vabbè" niente, nulla può giustificare il mostro, perché ogni donna è libera di vestirsi, truccarsi, comportarsi come vuole, nulla glielo deve impedire».
«Questi uomini e non solo -prosegue Roberta Civita-, perché anche noi altri tutti lo siamo, sono vittime del patriarcato, della società maschilista, della società stereotipata, della società che giustifica e non educa. La colpa non è però tutta del patriarcato e della nostra società, può essere di tanto altro, tranne che della donna. E allora cosa si può fare? Cosa possiamo fare per impedire che tutto questo continui ad accadere?
Io sedicenne non lo so proprio, ho le mie idee, ma sono idee utopistiche, irrealizzabili, perché muoiono dinanzi alla società in cui viviamo, dinanzi alla consapevolezza che lo Stato italiano si è mosso per contrastare la violenza contro le donne solo dal 2000 circa, che molte denunce ancora vengono ignorate, così come innumerevoli richieste d'aiuto; ho paura, ormai temo anche dei ragazzi a me più vicini, perché potrei vederli in una maniera sbagliata; non so cosa pensare, cosa fare, mi accorgo che le donne, adulte e adolescenti, ancora prima degli uomini sono quelle che giudicano e quindi danno la colpa alla ragazza che ha un migliore amico e magari esce sola con questo, alla ragazza con la minigonna il sabato sera, alla ragazza più truccata delle altre, alla ragazza che è andata in discoteca con le amiche senza il ragazzo, alla ragazza ribelle nei confronti del ragazzo e tanto altro. É un vero incubo, sembra un labirinto senza un'uscita, mi sento impotente davanti a tutto questo.
Parlarne solo non basta, bisogna spingersi oltre, agire per impedire, concretizzare le parole.
Le parole devono essere spese solo per dare voce a chi ormai non c'è più, a chi ha usato la sua voce l'ultima volta per esprimere il proprio dolore prima di essere uccisa dal mostro, a chi l'ha usata e non è stata mai ascoltata; dobbiamo essere la voce di Giulia, di Vincenza e di tutte le altre 106 donne uccise dai mostri fino ad oggi, con la speranza che questo numero possa essere quello definitivo e non aumentare».
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