Jolanda e Rossella
Jolanda e Rossella
Cronaca

Disastro ferroviario, il dolore e la rabbia delle madri

"Nessuno può capire cosa si prova". Palloncini, fiori e candele per ricordare i loro "angeli"

Un dolore grande, immenso, che solo chi lo ha provato lo può comprendere, sopravvivere ad un figlio. Vederlo uscire di casa al mattino, salutarlo e non sapere che quella sarebbe stata l'ultima volta. Mazzi di fiori sui binari e nomi scritti con la bomboletta spray rossa sulle traversine: le mamme di Jolanda e di Rossella, solo due delle 23 vittime del disastro ferroviario del 12 luglio non si danno pace, così come i parenti di tutte le altre. Mariti, mogli, sorelle, fratelli, figli le cui vite da quel giorno sono cambiate drammaticamente. Dopo un anno c'erano anche loro, insieme a tutti gli altri su quei binari, alla stessa ora in cui i due treni - uno proveniente da Andria, l'altro da Corato - si sono scontrati, a pregare per i loro "angeli" ed a raccontare l'angoscia che solo chi ha perso un figlio può capire, gli altri possono solo provare ad immaginare.

«Jolanda andava a Bari, si stava organizzando per la tesi. Aveva finito gli esami - racconta la mamma - ma le mancava un tirocinio, il giorno prima si stava preparando per il laboratorio di analisi, stava mettendo da parte occhiali e camice. Aveva tanti progetti. Il dolore rimane a chi lo vive, non ho altre parole. Sono distrutta».

«Faceva la scrittrice, voleva cambiare il mondo. Rossella aveva 22 anni, aveva sostenuto l'esame di filosofia quel giorno ma non è più tornata a casa, era giovane ma molto saggia e amava scrivere. Nessuno può capire il nostro dolore, noi torniamo a casa e troviamo la casa vuota, i nostri figli non ci sono più. Nessuno può capire cosa significa», dice piangendo la mamma.

Un volo di palloncini, mazzi di fiori, corone e preghiere sulla strada ferrata, la stessa su cui sono morte 23 persone ed altre 50 rimaste ferite in uno scontro frontale di cui non si capirono subito le proporzioni, che scosse tutta l'Italia e che nessuno mai dimenticherà. Ragazzi, studenti, lavoratori che sono usciti come ogni giorno per vivere le proprie vite ma non sono più ritornati a casa. Per loro hanno pregato parenti ed amici in occasione dell'anniversario della loro morte, qualcuno stringe tra le mani una foto, qualcun altro lascia un fiore o un messaggio, ognuno chiuso nel proprio dolore per molti inconsolabile.

«Le parole della fede oggi sono le uniche parole possibile, le parole della rabbia seppur giustificabili non portano conforto», dice Mansignor Luigi Mansi suggerendo ai parenti delle vittime di «trovare la forza nella preghiera, è l'unica possibilità. Certo la forza la si può trovare anche nella giustizia che si compia ma anche se si farà giustizia i nostri cari non tornano. La dimensione, dunque, è quella della fede».

  • Incidente ferroviario
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