
Attualità
Quando Mons. Di Donna salvò la vita ai Carabinieri presi in ostaggio ad Andria
In occasione del suo funerale, 68 anni fa, i militari testimoniarono il loro ringraziamento per il coraggio dimostrato
Andria - venerdì 3 gennaio 2020
13.09
E' una pagina di storia ancora recente, del primissimo secondo dopoguerra, quella che racconta di un prete anzi un padre missionario dell'Ordine Trinitario, che con coraggio e carità cristiana, salvò dalla morte dei carabinieri tenuti in ostaggio durante i sanguinosi tumulti di Andria del marzo 1946. Da solo, armato di sola fede, si presentò ai rivoltosi che avevano in ostaggio dei carabinieri, disarmati e pestati a sangue, riuscendo a liberarli, salvando loro la vita.
E' Don Carmine Catalano, vice postulatore della causa di beatificazione dell'amato Vescovo di Andria, Mons. Giuseppe Di Donna che ha voluto ricordare questo episodio poco conosciuto della storia di Andria. Le cronache del tempo e le immagini riprese dal dott. Nicola Fattibene, farmacista di Andria, riviste lo scorso 2 gennaio del 2015 nella chiesa Cattedrale di Andria, ricordano anche oggi, non solo le grandi folle presenti in eccezionali eventi, ma anche la semplice ed umile devozione di persone che facevano passare i loro rosari sul corpo del Vescovo "santo", perché potesse dare la sua ultima benedizione e vivere di quella protezione celeste. «Le immagini sono state qualche anno fa digitalizzate dal figlio del dottore farmacista, con la passione del "regista-operatore" - tiene a sottolineare Don Carmine - di nome Alessandro, non a caso fotografo, ci raccontano di strade affollate, di piazza Catuma gremita di gente e di Carabinieri in alta uniforme, venuti da Bari non per fermare le lotte sociali, ma per rendere onore al loro Vescovo-liberatore, di Andria listata a lutto con piccoli manifesti sulle porte delle chiese e degli esercizi commerciali». Era il 5 gennaio del 1952 quando la città di Andria rese omaggio alle spoglie di Fra Giuseppe Di Donna, Vescovo di Andria, scomparso tre giorni prima a causa di un male incurabile.
«Ci raccontano di nemici dialettici - ha ricordato Don Carmine come il sindaco comunista dell'epoca, Vincenzo Mucci, che rende le armi al "nemico", con un telegramma di condoglianze in cui apprezza il coraggio e la coerenza dell'uomo-vescovo. Le stesse immagini ci raccontano di elogi funebri, quello ecclesiastico in Cattedrale di Mons. Giuseppe Ruotolo, Vescovo di Ugento, amico personale dell'umile Vescovo, e quello civile del Senatore Onofrio Jannuzzi, entrambi di altissimo afflato, dignità, rispetto e sincera devozione al Vescovo che ora è nella comunione della SS. Trinità». Il ricordo che si rinnova ogni 2 gennaio, in Cattedrale, con le parole su Mons. Di Donna, che riscaldano la memoria ed il cuore della coscienza del popolo andriese, perché «quei racconti ci appartengono, non solo a chi era presente fisicamente, ma a noi tutti, in quanto parlano di momenti indelebili, che fanno parte della nostra identità sociale e cristiana».
Questa memoria non è unicamente un ricordare quei tempi, ma è soprattutto una comunicazione di ciò che eravamo e che oggi possiamo essere e che in futuro potremo essere: un popolo non freddo, che non si accalora solamente con la violenza, ma la testimonianza di uomini coerenti e coraggiosi, accende i nostri cuori e li eleva per la costruzione dell'edificio sociale (titolo della lettera pastorale di mons. Di Donna), fondato sulla condivisione di valori, come la convivenza civile, il rispetto reciproco e l'ascolto di tutti, la tolleranza e la solidarietà, tutti iscritti nella coscienza civile della nostra città.
E' Don Carmine Catalano, vice postulatore della causa di beatificazione dell'amato Vescovo di Andria, Mons. Giuseppe Di Donna che ha voluto ricordare questo episodio poco conosciuto della storia di Andria. Le cronache del tempo e le immagini riprese dal dott. Nicola Fattibene, farmacista di Andria, riviste lo scorso 2 gennaio del 2015 nella chiesa Cattedrale di Andria, ricordano anche oggi, non solo le grandi folle presenti in eccezionali eventi, ma anche la semplice ed umile devozione di persone che facevano passare i loro rosari sul corpo del Vescovo "santo", perché potesse dare la sua ultima benedizione e vivere di quella protezione celeste. «Le immagini sono state qualche anno fa digitalizzate dal figlio del dottore farmacista, con la passione del "regista-operatore" - tiene a sottolineare Don Carmine - di nome Alessandro, non a caso fotografo, ci raccontano di strade affollate, di piazza Catuma gremita di gente e di Carabinieri in alta uniforme, venuti da Bari non per fermare le lotte sociali, ma per rendere onore al loro Vescovo-liberatore, di Andria listata a lutto con piccoli manifesti sulle porte delle chiese e degli esercizi commerciali». Era il 5 gennaio del 1952 quando la città di Andria rese omaggio alle spoglie di Fra Giuseppe Di Donna, Vescovo di Andria, scomparso tre giorni prima a causa di un male incurabile.
«Ci raccontano di nemici dialettici - ha ricordato Don Carmine come il sindaco comunista dell'epoca, Vincenzo Mucci, che rende le armi al "nemico", con un telegramma di condoglianze in cui apprezza il coraggio e la coerenza dell'uomo-vescovo. Le stesse immagini ci raccontano di elogi funebri, quello ecclesiastico in Cattedrale di Mons. Giuseppe Ruotolo, Vescovo di Ugento, amico personale dell'umile Vescovo, e quello civile del Senatore Onofrio Jannuzzi, entrambi di altissimo afflato, dignità, rispetto e sincera devozione al Vescovo che ora è nella comunione della SS. Trinità». Il ricordo che si rinnova ogni 2 gennaio, in Cattedrale, con le parole su Mons. Di Donna, che riscaldano la memoria ed il cuore della coscienza del popolo andriese, perché «quei racconti ci appartengono, non solo a chi era presente fisicamente, ma a noi tutti, in quanto parlano di momenti indelebili, che fanno parte della nostra identità sociale e cristiana».
Questa memoria non è unicamente un ricordare quei tempi, ma è soprattutto una comunicazione di ciò che eravamo e che oggi possiamo essere e che in futuro potremo essere: un popolo non freddo, che non si accalora solamente con la violenza, ma la testimonianza di uomini coerenti e coraggiosi, accende i nostri cuori e li eleva per la costruzione dell'edificio sociale (titolo della lettera pastorale di mons. Di Donna), fondato sulla condivisione di valori, come la convivenza civile, il rispetto reciproco e l'ascolto di tutti, la tolleranza e la solidarietà, tutti iscritti nella coscienza civile della nostra città.