Castel dei Mondi: Questo lavoro... sulla socialità

Terminata la seconda giornata di Festival

domenica 23 settembre 2018 3.23
A cura di Sara Suriano
Un essere umano può declassarsi a fantoccio solo perché è posto su un palco? La violenza è legittimata solo perché esercitata in una spazio teatrale? La perdita di empatia e pietà può essere giustificata da un meccanismo ludico? Questo mi chiedo.

Sul palco del Palazzo Ducale la compagnia "Aldes" porta in scena una performance impacchettata in uno spazio candido, asettico, quasi clinico, punteggiato da oggetti innocui che edulcorano con colori vividi la possibilità di farsi arma.

"Questo lavoro sull'arancia" nasce dalla necessità di interrogarsi su cosa sia l'arte e tenta di recuperare l'emozione che lega linguaggio artistico e spettatore in un'esperienza iconofobica. Lontano da un teatro che si propone come portatore di una verità da subire proni, questo lavoro, strizzando l'occhio al celebre film di Kubrick, rimodula il rapporto di potere tra il performer e lo spettatore, che si fa autore.

Marco Chenevrier e Alessia Pinto, i due performer, conducono danzando un gioco di ruolo tra vittima e carnefice, per poi cedere il testimone al pubblico in un'esperienza collettiva.

La platea si ritrova in un percorso a scelte, con assurde regole da rispettare, giocando sul filo del dubbio, sulla possibilità che si tratti di finzione. O, almeno, così ci si può giustificare. Un climax di violenze che confondono lo spettatore con una struttura ritmica, ripetitiva ma avvincente.

"La tortura è stata completata al 100%. Grazie a tutti", dice la voce metallica a fine spettacolo quando, spezzato il meccanismo teatrale, quasi svegliati di soprassalto, divisi tra aguzzini, pseudo-salvatori e spettatori passivi, ci si chiede cosa sia realmente successo, ci si ritrova a guardarsi negli occhi (quando non si abbassa lo sguardo) per indovinare le colpe di ognuno.

Cosa siamo disposti a fare per soldi? Siamo capaci di rompere gli schemi del gioco per bloccare un meccanismo perverso? Abbiamo il coraggio di prenderci la responsabilità delle nostre (non) azioni? Questo vi chiedo.
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