Caldarone: “Oltre le primarie del Pd, per una politica che unisca, fatta di progetti”
Alla vigilia del voto per il nuovo segretario, intervista all’ex sindaco di Andria
mercoledì 26 aprile 2017
Sindaco per due consigliature, e prima ancora vice di Giannicola Sinisi fino ad arrivare ad assessore al decentramento ed alla politiche comunitarie di quella che era la grande provincia di Bari, prima dell'avvento della provincetta Barletta Andria Trani.
Vincenzo Caldarone, dottore commercialista, ha svolto incarichi istituzionali fino al 2009, con una importante parentesi quale Presidente del Patto territoriale nord barese ofantino. Personaggio di spicco della sinistra pugliese, tanto da essere con Ciccio Salerno uno dei punti di riferimento del centro sinistra a cavallo del trascorso e del nuovo secolo, oggi a 60 anni compiuti ha deciso di riavvicinarsi al Partito Democratico, dopo un lungo periodo di allontanamento.
"Mi sono riavvicinato al Partito democratico prima che Renzi, nel 2014, si candidasse alla segreteria del partito, perdendo quella volta con Bersani -tiene subito a chiarire mettendo quasi le mani avanti-. Quella proposta era un primo segnale, una sfida all'apertura che il partito faceva verso una partecipazione più attiva dei suoi iscritti e simpatizzanti. Il partito-apparato con il suo essere distante dalla società provava ad invertire la rotta, cercando di coinvolgere piuttosto che gestire solo segmenti di potere.
Credo che le primarie siano viste innanzitutto come una vicenda interna al ceto politico, distante dai reali problemi che attanagliano la collettività. Piuttosto che trovare delle soluzioni ai drammi che quotidianamente si consumano, le elezioni primarie possono essere viste come una sorta di occupazione dei luoghi del potere. Personalmente mi rivedo in una visione "gramsciana" dove in un contesto sociale, pur se divisi per alcuni aspetti o per diverse opinioni, insieme si porta avanti una visione, un progetto di molti, di comunità che oggi purtroppo manca nel nostro panorama politico attuale. Le primarie rappresentano forse il primo vero stadio della democrazia, un aspetto che manca in partiti dove la partecipazione è falsata: vedasi per i penta stellati con la illusione dell'uno vale uno (ma solo uno e gli altri?) o idealizzato da una rappresentazione mistica, come per gli altri. Non credo che si possa esercitare una democrazia solo sulla base di suggestioni, indicazioni del nemico, simboli violenti che rimarcano la rabbia e non risolvono niente E qui ritengo che sia necessario per il Partito Democratico, al di là delle scissioni che lo hanno attraversato o tra gli scontri in atto tra chi deve comandare, deve procedere ad un rinnovamento e ad un riformismo, due concetti chiave su cui si misurano varie problematiche legate ad esempio a questioni di fondo strategiche per il Paese, quali la legge elettorale, la finanziaria e il concetto di cosa intendiamo per Europa, le disuguaglianze territoriali e sociali.
Altro concetto su cui deve misurarsi il Partito Democratico è la radicalità, nel senso di andare alla radice dei problemi, non nel senso di estremismo: non soffermarsi sull'apparenza o sulla superficialità delle cose. Come non pensare all'attuale povertà, causata dall'accentramento delle decisioni in ristretti ambiti economici.
E' necessario rivedere i meccanismi democratici –prosegue Vincenzo Caldarone- alla luce dei nuovi poteri forti, in primis quelli economici. Ma la radicalità è anche risolvere questioni quali quelle delle lunghe liste d'attesa nella sanità, dei tempi biblici della giustizia italiana, del fisco che anziché sostenere penalizza il piccolo commercio, avvantaggiando il commercio via internet come Amazzon e così via.
E' quindi prioritario riconnettersi, confrontarsi per trovare quello che ci unisce piuttosto che scontrarsi. Per questo motivo andrò a votare, perché questo esercizio è l'unico vero luogo che ancora mi lega alla politica".
D: Crede che il Pd riuscirà in questa battaglia di rinnovamento?
"Francamente non posso dire oggi se il Partito democratico riuscirà in questa sfida, cui guarda non solo il centro sinistra ma l'intero Paese. Mi auguro che ci sia una nuova presa di coscienza, una responsabilità diffusa che porti ad un nuovo modo di intendere la politica.
Oggi vedo più la nascita di coalizioni civiche, legate al territorio, che diventano reti di interessi comuni piuttosto che interessi di partito, autoreferenziali, che ormai non rappresentano alcuno.
Andrò quindi a votare ma non chiedetemi per chi, in quanto voglio decidere su quanto verrà detto fino agli ultimi giorni, sui contenuti effettivi fin'ora taciuti".
D: Come le appare oggi la situazione politica?
"Vive un evidente declino del territorio, a cominciare dalla speranza della gente, che va dallo stato in cui si trovano le strade, alla mancanza di progetti a lunga scadenza, di nuove iniziative. Vi è un vero e proprio buco generazionale delle migliori energie, dei giovani che vanno via e che non incontri neanche più per strada. Penso ad Andria ma è una situazione particolarmente diffusa. Piuttosto che costruire muri per non fare entrare, credo che dovremmo crearli per non fare uscire i nostri giovani, che si allontanano dalla loro terra.
La politica ha fino ad oggi dimostrato, nei fatti, che questo non gli interessa. E' questo è un grande male".
D: Chiudiamo con una domanda oseremmo dire ovvia. Ma ci pensa mai a ritornare in politica?
"Certo che ci penso, anzi "sono" in politica nel senso che mi arrabbio, penso, parlo, cerco soluzioni, confronto idee, faccio progetti, imparo dai miei figli: non nella politica partitica, dove non accade niente di quello che interessa. Ecco, credo che se oggi vi fosse una visione progettuale con obiettivi e strategie di crescita sociale ed economica, questa progettualità politica mi vedrebbe parte attiva. Non credo per candidature o posizioni di potere: piena disponibilità a lavorare su progetti, obbiettivi, per tutto ciò che ha a che fare con la vita reale della comunità e delle persone. La rabbia maggiore è vivere i problemi, vedere le soluzioni, e trovarsi in un deserto. A questa rabbia nella politica vorrei sostituire l'azione e la condivisione".
Vincenzo Caldarone, dottore commercialista, ha svolto incarichi istituzionali fino al 2009, con una importante parentesi quale Presidente del Patto territoriale nord barese ofantino. Personaggio di spicco della sinistra pugliese, tanto da essere con Ciccio Salerno uno dei punti di riferimento del centro sinistra a cavallo del trascorso e del nuovo secolo, oggi a 60 anni compiuti ha deciso di riavvicinarsi al Partito Democratico, dopo un lungo periodo di allontanamento.
"Mi sono riavvicinato al Partito democratico prima che Renzi, nel 2014, si candidasse alla segreteria del partito, perdendo quella volta con Bersani -tiene subito a chiarire mettendo quasi le mani avanti-. Quella proposta era un primo segnale, una sfida all'apertura che il partito faceva verso una partecipazione più attiva dei suoi iscritti e simpatizzanti. Il partito-apparato con il suo essere distante dalla società provava ad invertire la rotta, cercando di coinvolgere piuttosto che gestire solo segmenti di potere.
Credo che le primarie siano viste innanzitutto come una vicenda interna al ceto politico, distante dai reali problemi che attanagliano la collettività. Piuttosto che trovare delle soluzioni ai drammi che quotidianamente si consumano, le elezioni primarie possono essere viste come una sorta di occupazione dei luoghi del potere. Personalmente mi rivedo in una visione "gramsciana" dove in un contesto sociale, pur se divisi per alcuni aspetti o per diverse opinioni, insieme si porta avanti una visione, un progetto di molti, di comunità che oggi purtroppo manca nel nostro panorama politico attuale. Le primarie rappresentano forse il primo vero stadio della democrazia, un aspetto che manca in partiti dove la partecipazione è falsata: vedasi per i penta stellati con la illusione dell'uno vale uno (ma solo uno e gli altri?) o idealizzato da una rappresentazione mistica, come per gli altri. Non credo che si possa esercitare una democrazia solo sulla base di suggestioni, indicazioni del nemico, simboli violenti che rimarcano la rabbia e non risolvono niente E qui ritengo che sia necessario per il Partito Democratico, al di là delle scissioni che lo hanno attraversato o tra gli scontri in atto tra chi deve comandare, deve procedere ad un rinnovamento e ad un riformismo, due concetti chiave su cui si misurano varie problematiche legate ad esempio a questioni di fondo strategiche per il Paese, quali la legge elettorale, la finanziaria e il concetto di cosa intendiamo per Europa, le disuguaglianze territoriali e sociali.
Altro concetto su cui deve misurarsi il Partito Democratico è la radicalità, nel senso di andare alla radice dei problemi, non nel senso di estremismo: non soffermarsi sull'apparenza o sulla superficialità delle cose. Come non pensare all'attuale povertà, causata dall'accentramento delle decisioni in ristretti ambiti economici.
E' necessario rivedere i meccanismi democratici –prosegue Vincenzo Caldarone- alla luce dei nuovi poteri forti, in primis quelli economici. Ma la radicalità è anche risolvere questioni quali quelle delle lunghe liste d'attesa nella sanità, dei tempi biblici della giustizia italiana, del fisco che anziché sostenere penalizza il piccolo commercio, avvantaggiando il commercio via internet come Amazzon e così via.
E' quindi prioritario riconnettersi, confrontarsi per trovare quello che ci unisce piuttosto che scontrarsi. Per questo motivo andrò a votare, perché questo esercizio è l'unico vero luogo che ancora mi lega alla politica".
D: Crede che il Pd riuscirà in questa battaglia di rinnovamento?
"Francamente non posso dire oggi se il Partito democratico riuscirà in questa sfida, cui guarda non solo il centro sinistra ma l'intero Paese. Mi auguro che ci sia una nuova presa di coscienza, una responsabilità diffusa che porti ad un nuovo modo di intendere la politica.
Oggi vedo più la nascita di coalizioni civiche, legate al territorio, che diventano reti di interessi comuni piuttosto che interessi di partito, autoreferenziali, che ormai non rappresentano alcuno.
Andrò quindi a votare ma non chiedetemi per chi, in quanto voglio decidere su quanto verrà detto fino agli ultimi giorni, sui contenuti effettivi fin'ora taciuti".
D: Come le appare oggi la situazione politica?
"Vive un evidente declino del territorio, a cominciare dalla speranza della gente, che va dallo stato in cui si trovano le strade, alla mancanza di progetti a lunga scadenza, di nuove iniziative. Vi è un vero e proprio buco generazionale delle migliori energie, dei giovani che vanno via e che non incontri neanche più per strada. Penso ad Andria ma è una situazione particolarmente diffusa. Piuttosto che costruire muri per non fare entrare, credo che dovremmo crearli per non fare uscire i nostri giovani, che si allontanano dalla loro terra.
La politica ha fino ad oggi dimostrato, nei fatti, che questo non gli interessa. E' questo è un grande male".
D: Chiudiamo con una domanda oseremmo dire ovvia. Ma ci pensa mai a ritornare in politica?
"Certo che ci penso, anzi "sono" in politica nel senso che mi arrabbio, penso, parlo, cerco soluzioni, confronto idee, faccio progetti, imparo dai miei figli: non nella politica partitica, dove non accade niente di quello che interessa. Ecco, credo che se oggi vi fosse una visione progettuale con obiettivi e strategie di crescita sociale ed economica, questa progettualità politica mi vedrebbe parte attiva. Non credo per candidature o posizioni di potere: piena disponibilità a lavorare su progetti, obbiettivi, per tutto ciò che ha a che fare con la vita reale della comunità e delle persone. La rabbia maggiore è vivere i problemi, vedere le soluzioni, e trovarsi in un deserto. A questa rabbia nella politica vorrei sostituire l'azione e la condivisione".