"Ardere senza bruciarsi": Lettera a don Matteo
Don Ettore Lestingi: "Trentacinque anni fa tu nascevi alla vita, mentre io nascevo al presbiterato"
mercoledì 16 luglio 2025
19.14
Riceviamo e pubblichiamo il pensiero di Don Ettore Lestingi su Don Matteo Balzano, il giovane sacerdote tragicamente scomparso sabato 5 luglio.
Caro don Matteo, oggi celebrando l'Eucarestia mi sei balenato in mente come un fulmine a cui sono seguiti tuoni che hanno provocato sconcerto, smarrimento e paura.
E a riflettori spenti, dopo che, pur invocando silenzio e rispetto, sono stati scritti "fiumi di parole" e "chilometri di lettere", quasi a lume di candela, quella che brilla sulla tua tomba, ho deciso di parlarti, anzi di ascoltarti. E ciò che mi incoraggia a farlo è la prima strofa della canzone di Franco Battiato "E ti vengo a cercare" che così canta:
"E ti vengo a cercare anche solo per … parlare perché ho bisogno della tua presenza per capire meglio la mia essenza".
Trentacinque anni fa tu nascevi alla vita, mentre io nascevo al presbiterato. Non dimenticherò mai la vertigine e lo stupore di quel giorno: vertigine perché l'essere prete è spiccare voli d'aquila, raggiungere altezze dove si respira Dio, l'aria è salubre, senza alcuna contaminazione; stupore perché a sollevarmi non erano le mie forze, né tanto meno i miei meriti, quanto la bontà di Dio che ci sceglie così come siamo, chiedendoci in cambio solo una cosa: la fiducia in lui e nella sua forza. Pian piano però, nel corso degli anni, il volo è diventato più basso e l'aria più pesante: la vertigine è diventata paura di cadere e lo stupore si è trasformato in delusione. "Chiamata a spiccare voli d'aquila, cominciamo a saltellare come quaglie" (Isaia)
Perché? Perché ad un certo punto ti accorgi di non essere più prete, ma di fare il prete, continuamente valutato dai titoli accumulati, dagli affanni fintamente pastorali, ma che invece esprimono un ministero vissuto all'insegna della corsa per raggiungere il primo posto sul podio della carriera. E quello che chiami confratello si trasforma in concorrente! E' singolare il fatto che del prete non interessa a nessuno la sua vita, ma il suo curriculum e da questo misurarne la sua validità. Oggi la liturgia della Parola ci ha narrato della visione di Mosè sull'Oreb: un roveto ardente che arde ma non si consuma. Sì, quel roveto parla di Dio e del suo amore che arde ma non si consuma. Ma il mio pensiero è andato alla vita di un prete che deve essere come quel roveto, ma con una differenza: ardere senza bruciarsi.
Noi rischiamo di bruciarci negli affanni pastorali, nell'accumulo di titoli, bramanti di applausi e like, intenti a costruire consenso attorno alla nostra persona, vittime del pensiero calcolante(vali per quante persone riesci a mettere insieme, quante ostie distribuisci, quanti ragazzi porti in Oratorio, o per abilità manageriale, quante strutture sei riuscito a restaurare…) Tutto cose che riempiono di tempo la giornata e arrivi la sera stanco, ma solo. E ti chiedi: chi ha voluto tutto questo? La riforma conciliare? La Gerarchia? La gente? La società? E quando poi tutto questo ti viene a mancare, o per malattia o per la volontà del tuo superiore, e la tua vita da essere una stanza occupata da un elefante diventa un capannone industriale abitato da una formica, e si crea il vuoto attorno e dentro di te, che fai? E il vuoto fa paura. Eppure nel Rito di ordinazione ci è stato chiesto semplicemente questo: "Vuoi esercitare per tutta la vita il ministero sacerdotale nel grado di presbitero, come fedele cooperatore dell'ordine dei vescovi nel servizio del popolo di Dio, sotto la guida dello Spirito Santo? Vuoi celebrare con devozione e fedeltà i misteri di Cristo secondo la tradizione della Chiesa, specialmente nel sacrificio eucaristico e nel sacramento della riconciliazione, a lode di Dio e per la santificazione del popolo cristiano? Vuoi insieme con noi implorare la divina misericordia per il popolo a te affidato, dedicandoti assiduamente alla preghiera, come ha comandato il Signore? Vuoi essere sempre più strettamente unito a Cristo sommo sacerdote, che come vittima pura si è offerto al Padre per noi, consacrando te stesso a Dio insieme con lui per la salvezza di tutti gli uomini? Eletto: Prometti al vescovo diocesano e al tuo legittimo superiore filiale rispetto e obbedienza?
A tutto questo e solo a questo abbiamo risposto: "Sì, lo voglio". E intanto il servizio si è travestito in potere. L'Eucarestia è diventata una attività tra le altre, o forse anche un fastidio da sbrigare perché toglie tempo alle attività pastorali. La preghiera una perdita di tempo, perché è più utile sporcarsi le mani che non sbucciarsi le ginocchia. Prioritari sono diventati i nostri interessi e i nostri legittimi bisogni, anziché la salvezza del popolo di Dio. E l'obbedienza va bene quando la volontà del superiore coincide perfettamente con i miei desiderata. Caro don Matteo, il tuo Vescovo Mons. Brambilla nella sua omelia ha posto una domanda: "Cosa vuol dirci la morte di questo nostro fratello?" Una cosa molto semplice: non giocare a fare il prete, ma inizia ad essere prete. Per questo sono venuto a cercarti: per capire meglio la mia essenza. Oggi ho pregato per te. Sappi che non ti ho giudicato, né condannato, ma, come ogni mio confratello, mi sento giudicato da te perché forse se tu avessi trovato qualcuno che ti avrebbe chiesto come stai? certamente non avresti affidato alla morte le tue ansie o le tue angosce., Se puoi, perdonaci e prega per noi.
Con affetto don Ettore, un tuo confratello.
Caro don Matteo, oggi celebrando l'Eucarestia mi sei balenato in mente come un fulmine a cui sono seguiti tuoni che hanno provocato sconcerto, smarrimento e paura.
E a riflettori spenti, dopo che, pur invocando silenzio e rispetto, sono stati scritti "fiumi di parole" e "chilometri di lettere", quasi a lume di candela, quella che brilla sulla tua tomba, ho deciso di parlarti, anzi di ascoltarti. E ciò che mi incoraggia a farlo è la prima strofa della canzone di Franco Battiato "E ti vengo a cercare" che così canta:
"E ti vengo a cercare anche solo per … parlare perché ho bisogno della tua presenza per capire meglio la mia essenza".
Trentacinque anni fa tu nascevi alla vita, mentre io nascevo al presbiterato. Non dimenticherò mai la vertigine e lo stupore di quel giorno: vertigine perché l'essere prete è spiccare voli d'aquila, raggiungere altezze dove si respira Dio, l'aria è salubre, senza alcuna contaminazione; stupore perché a sollevarmi non erano le mie forze, né tanto meno i miei meriti, quanto la bontà di Dio che ci sceglie così come siamo, chiedendoci in cambio solo una cosa: la fiducia in lui e nella sua forza. Pian piano però, nel corso degli anni, il volo è diventato più basso e l'aria più pesante: la vertigine è diventata paura di cadere e lo stupore si è trasformato in delusione. "Chiamata a spiccare voli d'aquila, cominciamo a saltellare come quaglie" (Isaia)
Perché? Perché ad un certo punto ti accorgi di non essere più prete, ma di fare il prete, continuamente valutato dai titoli accumulati, dagli affanni fintamente pastorali, ma che invece esprimono un ministero vissuto all'insegna della corsa per raggiungere il primo posto sul podio della carriera. E quello che chiami confratello si trasforma in concorrente! E' singolare il fatto che del prete non interessa a nessuno la sua vita, ma il suo curriculum e da questo misurarne la sua validità. Oggi la liturgia della Parola ci ha narrato della visione di Mosè sull'Oreb: un roveto ardente che arde ma non si consuma. Sì, quel roveto parla di Dio e del suo amore che arde ma non si consuma. Ma il mio pensiero è andato alla vita di un prete che deve essere come quel roveto, ma con una differenza: ardere senza bruciarsi.
Noi rischiamo di bruciarci negli affanni pastorali, nell'accumulo di titoli, bramanti di applausi e like, intenti a costruire consenso attorno alla nostra persona, vittime del pensiero calcolante(vali per quante persone riesci a mettere insieme, quante ostie distribuisci, quanti ragazzi porti in Oratorio, o per abilità manageriale, quante strutture sei riuscito a restaurare…) Tutto cose che riempiono di tempo la giornata e arrivi la sera stanco, ma solo. E ti chiedi: chi ha voluto tutto questo? La riforma conciliare? La Gerarchia? La gente? La società? E quando poi tutto questo ti viene a mancare, o per malattia o per la volontà del tuo superiore, e la tua vita da essere una stanza occupata da un elefante diventa un capannone industriale abitato da una formica, e si crea il vuoto attorno e dentro di te, che fai? E il vuoto fa paura. Eppure nel Rito di ordinazione ci è stato chiesto semplicemente questo: "Vuoi esercitare per tutta la vita il ministero sacerdotale nel grado di presbitero, come fedele cooperatore dell'ordine dei vescovi nel servizio del popolo di Dio, sotto la guida dello Spirito Santo? Vuoi celebrare con devozione e fedeltà i misteri di Cristo secondo la tradizione della Chiesa, specialmente nel sacrificio eucaristico e nel sacramento della riconciliazione, a lode di Dio e per la santificazione del popolo cristiano? Vuoi insieme con noi implorare la divina misericordia per il popolo a te affidato, dedicandoti assiduamente alla preghiera, come ha comandato il Signore? Vuoi essere sempre più strettamente unito a Cristo sommo sacerdote, che come vittima pura si è offerto al Padre per noi, consacrando te stesso a Dio insieme con lui per la salvezza di tutti gli uomini? Eletto: Prometti al vescovo diocesano e al tuo legittimo superiore filiale rispetto e obbedienza?
A tutto questo e solo a questo abbiamo risposto: "Sì, lo voglio". E intanto il servizio si è travestito in potere. L'Eucarestia è diventata una attività tra le altre, o forse anche un fastidio da sbrigare perché toglie tempo alle attività pastorali. La preghiera una perdita di tempo, perché è più utile sporcarsi le mani che non sbucciarsi le ginocchia. Prioritari sono diventati i nostri interessi e i nostri legittimi bisogni, anziché la salvezza del popolo di Dio. E l'obbedienza va bene quando la volontà del superiore coincide perfettamente con i miei desiderata. Caro don Matteo, il tuo Vescovo Mons. Brambilla nella sua omelia ha posto una domanda: "Cosa vuol dirci la morte di questo nostro fratello?" Una cosa molto semplice: non giocare a fare il prete, ma inizia ad essere prete. Per questo sono venuto a cercarti: per capire meglio la mia essenza. Oggi ho pregato per te. Sappi che non ti ho giudicato, né condannato, ma, come ogni mio confratello, mi sento giudicato da te perché forse se tu avessi trovato qualcuno che ti avrebbe chiesto come stai? certamente non avresti affidato alla morte le tue ansie o le tue angosce., Se puoi, perdonaci e prega per noi.
Con affetto don Ettore, un tuo confratello.