«Lettera a un non credente» di Gennaro (Gino) Piccolo

A scrivere è il referente del centro Igino Giordani di Andria

giovedì 25 aprile 2019
Carissimo N.,
quest'anno, ricorrono cinquant'anni da quando siamo amici: un'amicizia bella, essenziale, profonda! Lo ricordi? Fu E. il tuo amico di liceo a suscitarla, principalmente a motivo del tuo dichiararti non credente. E. mi descriveva i vostri battibecchi sulla fede, il suo desiderio di "convertirti", battibecchi dai quali, poverino, ne usciva sempre malconcio tanto da venire a chiedermi cos'altro poteva fare…ed io rispondergli di rispettarti, di non preoccuparsi ma di occuparsi di più ad essere lui una testimonianza viva di quello in cui credeva. Così, un giorno, avvenne che E. mi fece conoscere te del quale subito potetti ammirare la tua intelligenza, la tua cultura e tanta ricchezza di umanità.

E avvenne pure che il mio datore di lavoro mi prestò la sua Alfetta – a quell'epoca ritenuta una macchina di lusso – per recarmi a casa di una cliente per una riparazione. Strada facendo incontrai alla periferia della Città un uomo ospite di un istituto per anziani; "Ciacciudd", lo chiamavano, conosciuto da tutti, sempre malvestito, preso in giro, con i suoi immancabili secchi pronti a contenere cose raccattate qua e là. Non esitai a farlo salire in macchina poiché doveva raggiungere il centro.
Con premura, gli aprii lo sportello e lo aiutai a scendere mentre da lontano, felice coincidenza, tu, a mia insaputa, assistevi un po' attonito alla scena.
Apriti cielo! Il giorno dopo, tornasti a scuola agguerrito con E. al quale, ancora una volta, gli spifferasti che mai avresti creduto al suo cristianesimo ma che eri più propenso a credere al cristianesimo dell'amico G. per via di quel passaggio offerto.
Ripensando a questo episodio, ancora mi viene tanto da sorridere nel rivedere il volto di E. che pure – anche se in Sicilia – ancora è legatissimo a te, alla tua famiglia.
Cinquant'anni di amicizia. Tu sei rimasto non credente, io credente, con tanta acquisita capacità di dialogo che ancora oggi non ci fa perdere in chiacchiere, in tentazioni proselitistiche, ma sempre pronti a ripartire da ciò che ci unisce.
Tu rimasto non credente, io credente. Ed è bello constatare che parlando di grandi valori come libertà, uguaglianza e fraternità, partendo da esperienze concrete, ci ritroviamo sempre più uniti, sempre più capiamo che dialogare è amare, è vita.
Credimi, devo a te una maggiore capacità di stare sempre più attento a non giudicare quanti si dichiarano non credenti, convinto che loro possono essere più in grazia di Dio di quanto lo sia io.
Ho compreso poi, in maniera molto bella, quanto il punto di contatto con questi nostri amici richiede la povertà di spirito assoluta, il perdere la sicurezza di quel credersi cristiano…fino al punto di arrivare a provare il sentirsi non credente con i non credenti, ateo con gli atei…, povertà e perdere che -se autentici- viene misteriosamente percepito fino al punto che ti viene inaspettatamente chiesto dove tali valori trovano il loro modello. Ed è allora, solo allora, che "puoi svelare che quel modello lo si trova in un crocifisso in cui Cristo sembri solo uomo: puoi presentare altri cristiani che amino talmente questi uomini da saper provare, come Gesù Abbandonato, se così si può dire, la "perdita di Dio". (Così Chiara Lubich in un tema su: 'Gesù Abbandonato e le croci della Chiesa" 1971).
Allora, e solo allora, -ne è convinta la Lubich- «questi fratelli non credenti, atei, di convinzioni diverse, solo allora, piano piano, simpatizzeranno per questi uomini semplici ma interi, come vogliono essere loro. E dalla simpatia nasce sempre più profondo il colloquio. E dal colloquio la comunione: il divino entra sempre più nell'anima e nella società, che pur non edificata nel suo nome, diverrà casa di Dio, come i templi pagani – al tempo della Chiesa primitiva – divennero chiese. Gesù nell'abbandono è il crocifisso degli atei, perché per loro s'è fatto ateismo» (Così Chiara Lubich nello stesso tema).
Sono trascorsi 50 anni: Tu rimasto non credente, io rimasto credente: ma che importa, vero N.? Ciò che importa è aver imparato un po' di più a riconoscere "quel Volto Abbandonato" in ogni uomo; a riconoscerlo, amarlo e chiamarlo per nome perché egli è presente in tutte le realtà della vita.
Infatti, dice la stessa Chiara, «Gesù Abbandonato è il muto, il sordo, il cieco, l'affamato, lo stanco, il disperato, il tradito, il fallito, il pauroso, l'assetato, il timido...! La tenebra, la malinconia. (Per converso, il Cristo Abbandonato è tutto l'opposto dei mali di cui si è caricato: E' l'ardimento, è la fede, l'Amore, la Vita, la Luce, la Pace, il Gaudio, l'Unità, la Sapienza,…la Madre, il Padre, il Fratello. Lo Sposo, il Nulla, l'affetto, l'effetto, l'abbaglio, il sonno, la veglia…E' tutte le cose più opposte: principio e fine. L'infinitamente grande e piccolo»…
Ecco, carissimo N. – E' bello poter testimoniare che nel mondo contemporaneo esiste ancora l'amicizia vera che, se poi è tra un non credente e un credente, è ancora più preziosa…..è davvero un tesoro.