Lavorare davanti a Dio
Riflessione di Gennaro Piccolo, referente del centro Igino Giordani di Andria, in occasione della Festa dei Lavoratori
venerdì 1 maggio 2020
Anche se da 40 anni lo incontro quotidianamente nei suoi numerosi scritti e libri, il Servo di Dio Igino Giordani non finisce di sorprenderci nel suo impegno di pensiero e di prassi in merito alla vita interiore. Lo fa con la sua solita profondità e capacità innovativa anche quando in un volumetto di sole 81 pagine del 1946, - Il «Padre nostro» preghiera sociale - rivolge una specifica attenzione ai significati profondi del lavoro umano.
Nello spiegare la preghiera insegnataci da Gesù frase per frase – e talvolta, per singole parole – quando giunge al «sia santificato il tuo nome», ci aiuta a scoprire che un modo concreto di attuare questa "santificazione" sta nel "mantenersi sempre integro nell'adempimento dei propri doveri all'ufficio e all'officina, in città e in campagna". Scrive: "Così la nostra giornata diviene un'operazione religiosa: il nostro camminare, parlare, lavorare, una funzione liturgica". Siamo sempre in una cattedrale, sempre davanti a Dio, per fargli onore (…). Direttamente mettiamo mattoni (Giordani da ragazzo è stato muratorino alle dipendenze del padre), rattoppiamo scarpe, scassiamo la terra, scriviamo numeri o parole, ma indirettamente – e più realmente ancora – noi rendiamo testimonianza a Dio, al cospetto della nostra coscienza e di quella della società e, dentro i cieli, al cospetto degli angeli e nella comunità dei santi" (p.38).
Profondi altresì, sono i suoi scritti sulla dignità del lavoro e, sul giusto salario scrive: "Un salario non è sempre giusto perché è stato pattuito. Il lavoratore può essere stato costretto dalla necessità o dal timore. In orda di disoccupazione, uno può allogarsi anche a patti di capestro e, come dice la Rerum Novarum, nel pattuire il salario, «entra sempre un elemento di giustizia, anteriore e superiore alla libera volontà dei contraenti, ed è che il quantitativo della mercede non deve essere inferiore al sostentamento dell'operaio». E, anticipando i tempi, scrive: "Ecco il criterio e la misura. Per tutte queste ragioni, la soluzione più ragionevole sta nel cointeressare o associare i lavoratori all'azienda tendendo a farli comproprietari e a svincolarli dalla condizione di proletari" (così in "Le due città" pag. 437).
Forti sono i pensieri di Giordani sul dramma della disoccupazione fino a scrivere che: "Poiché il lavoro ci è stato dato da Dio, come elemento della nostra natura, una esistenza, a cui si sottraesse il lavoro, sarebbe una esistenza fuori dell'ordine divino e umano: fuori della natura: sarebbe un 'esistenza snaturata. La disoccupazione forzata è ateismo"! E aggiunge, sempre fondendo armoniosamente etica e Vangelo, cielo e terra, eternità e tempo: "Per l'etica del Vangelo, la disoccupazione, prima che un disordine economico-sociale, è un disordine teologico-naturale: non far lavorare l'uomo è come non farlo respirare o digerire: è un principio di omicidio" (in "Le due città" pag. 428).
Il lavoro: Dal Padre nostro siamo partiti, al Padre nostro arriviamo con quelle decisive affermazioni di dottrina spirituale di Igino Giordani: "Tutto il lavoro di un essere umano può essere svolto come funzione liturgica, sempre davanti a Dio, sì che lavorare è un modo di pregare Dio".
Nello spiegare la preghiera insegnataci da Gesù frase per frase – e talvolta, per singole parole – quando giunge al «sia santificato il tuo nome», ci aiuta a scoprire che un modo concreto di attuare questa "santificazione" sta nel "mantenersi sempre integro nell'adempimento dei propri doveri all'ufficio e all'officina, in città e in campagna". Scrive: "Così la nostra giornata diviene un'operazione religiosa: il nostro camminare, parlare, lavorare, una funzione liturgica". Siamo sempre in una cattedrale, sempre davanti a Dio, per fargli onore (…). Direttamente mettiamo mattoni (Giordani da ragazzo è stato muratorino alle dipendenze del padre), rattoppiamo scarpe, scassiamo la terra, scriviamo numeri o parole, ma indirettamente – e più realmente ancora – noi rendiamo testimonianza a Dio, al cospetto della nostra coscienza e di quella della società e, dentro i cieli, al cospetto degli angeli e nella comunità dei santi" (p.38).
Profondi altresì, sono i suoi scritti sulla dignità del lavoro e, sul giusto salario scrive: "Un salario non è sempre giusto perché è stato pattuito. Il lavoratore può essere stato costretto dalla necessità o dal timore. In orda di disoccupazione, uno può allogarsi anche a patti di capestro e, come dice la Rerum Novarum, nel pattuire il salario, «entra sempre un elemento di giustizia, anteriore e superiore alla libera volontà dei contraenti, ed è che il quantitativo della mercede non deve essere inferiore al sostentamento dell'operaio». E, anticipando i tempi, scrive: "Ecco il criterio e la misura. Per tutte queste ragioni, la soluzione più ragionevole sta nel cointeressare o associare i lavoratori all'azienda tendendo a farli comproprietari e a svincolarli dalla condizione di proletari" (così in "Le due città" pag. 437).
Forti sono i pensieri di Giordani sul dramma della disoccupazione fino a scrivere che: "Poiché il lavoro ci è stato dato da Dio, come elemento della nostra natura, una esistenza, a cui si sottraesse il lavoro, sarebbe una esistenza fuori dell'ordine divino e umano: fuori della natura: sarebbe un 'esistenza snaturata. La disoccupazione forzata è ateismo"! E aggiunge, sempre fondendo armoniosamente etica e Vangelo, cielo e terra, eternità e tempo: "Per l'etica del Vangelo, la disoccupazione, prima che un disordine economico-sociale, è un disordine teologico-naturale: non far lavorare l'uomo è come non farlo respirare o digerire: è un principio di omicidio" (in "Le due città" pag. 428).
Il lavoro: Dal Padre nostro siamo partiti, al Padre nostro arriviamo con quelle decisive affermazioni di dottrina spirituale di Igino Giordani: "Tutto il lavoro di un essere umano può essere svolto come funzione liturgica, sempre davanti a Dio, sì che lavorare è un modo di pregare Dio".