Caporalato, l’avvocato del marito di Paola: aspettiamo ancora giustizia
Dopo i sei arresti di ieri, soddisfazione da parte della famiglia della bracciante morta nelle campagne di Andria
venerdì 24 febbraio 2017
11.48
«Paola è l'emblema dello sfruttamento dei lavoratori di cui stiamo parlando», dice l'avv. Pasquale Chieco, il legale della famiglia della signora Clemente, la bracciante tarantina che partiva alle tre e mezza dal suo paese per venire a lavorare nelle campagne di Andria e guadagnare soli 30 euro, cioè un terzo di ciò che avrebbe dovuto. Questo almeno fino ad una calda giornata del 13 luglio del 2015, quando a causa di un malore, e della fatica, la bracciante madre di tre figli non è più tornata a casa. All'indomani dell'operazione della Polizia di Andria e della Guardia di Finanza Trani, che ha portato all'arresto di sei persone, svelando un sistema di "moderno" caporalato parla l'avvocato di Stefano Arcuri, il marito di Paola che ha avuto il coraggio di denunciare, insieme alla Cgil, le condizioni nelle quali sua moglie lavorava, anche se la verità sulla sua morte non è ancora stata scritta. L'inchiesta, infatti, non riguarda la morte della donna, sulla quale è in corso una consulenza di un docente di Medicina del lavoro che dovrà accertare se vi sia stato nesso tra il malore ed il lavoro, ma lo sfruttamento della manodopera nei campi.
«La morte di Paola non ha ancora avuto giustizia, siamo però fiduciosi. Dobbiamo dire che è stato il punto di leva che ha consentito di dar partire questa indagine: i familiari hanno collaborato moltissimo, hanno fornito una serie di elementi di riscontro che hanno in qualche modo aiutato gli inquirenti a cominciare a comprendere quello che oggi grazie a questa indagine è venuto fuori», spiega Chieco.
L'avvocato, sentito telefonicamente il marito di Paola, riferisce anche della «soddisfazione della famiglia, grande apprezzamento per la presenza dello Stato, nulla è stato lasciato al caso, lo Stato c'è stato fino in fondo. Si è lavorato con tecniche investigative innovative per portare alla luce un fenomeno nuovo proprio perché si mascherava dietro l'azione di colletti bianchi».
«La morte di Paola non ha ancora avuto giustizia, siamo però fiduciosi. Dobbiamo dire che è stato il punto di leva che ha consentito di dar partire questa indagine: i familiari hanno collaborato moltissimo, hanno fornito una serie di elementi di riscontro che hanno in qualche modo aiutato gli inquirenti a cominciare a comprendere quello che oggi grazie a questa indagine è venuto fuori», spiega Chieco.
L'avvocato, sentito telefonicamente il marito di Paola, riferisce anche della «soddisfazione della famiglia, grande apprezzamento per la presenza dello Stato, nulla è stato lasciato al caso, lo Stato c'è stato fino in fondo. Si è lavorato con tecniche investigative innovative per portare alla luce un fenomeno nuovo proprio perché si mascherava dietro l'azione di colletti bianchi».