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Frodi alimentari: una storia antica quanto il cibo

Le esperienze investigative nel settore oleario

Quella delle frodi alimentari è un'attualissima vecchia storia che inizia con la nascita del commercio e si ripete da secoli. A cambiare nel tempo sono le metodologie frodatorie che si evolvono in parallelo al progresso tecnologico. Ne rappresenta un esempio emblematico la pratica delle sofisticazioni dell'olio d'oliva che nel corso degli anni è diventata sempre più difficile smascherare.

La storia e la cronaca internazionale insegnano che si tratta di un fenomeno tutt'altro che nostrano. Delle frodi si trovano denunce nella Bibbia e, nella sua Storia naturale, Plinio spiega bene come i commercianti adulterassero alimenti, droghe, spezie, soprattutto quelli che arrivavano a Roma da paesi lontani, e indica vari metodi per svelare le frodi.

Ma è con la rivoluzione industriale che il fenomeno raggiunge il suo apice. Agli inizi del 1800 le frodi alimentari erano così diffuse da indurre il chimico Fredrick Accum a scrivere un celebre libretto sull'adulterazione dei cibi, col sottotitolo "la morte nella pentola" mentre, in una vignetta del 1855, apparsa sul settimanale satirico inglese Punch, appariva una bambina che entra in una drogheria e fa all''avventore questa richiesta: «mamma chiede un etto di tè della migliore qualità per uccidere i topi e mezzo etto di cioccolato per sterminare gli scarafaggi!».

Un quadro desolante del commercio all'ingrosso degli alimenti nella capitale francese fu esposto nel 1873 dal libro di Emile Zola, Il ventre di Parigi. Nel 1898 lo scandalo delle scatolette di carne avariata distribuite al corpo di spedizione statunitense durante la guerra di Cuba spinse il giornalista Upton Sinclair a svolgere un'indagine sull'industria della macellazione e delle carni, che aveva la sua capitale in Chicago, da cui nacque il romanzo-inchiesta La giungla.

Durante le due guerre mondiali le frodi aumentarono per la scarsità del cibo, che hanno portato gli speculatori a sofisticare gli alimenti: il latte veniva così diluito con acqua ed il pane era fatto con farine scadenti o con l'aggiunta di polvere di gesso. Negli anni '50 le frodi hanno riguardato l'olio d'oliva, sofisticato con olio di tè o olio sintetico; la pasta veniva prodotta con farina di grano tenero con l'addizione di colla di pesce per la tenuta in fase di cottura; il vino veniva addizionato di zuccheri per aumentarne la gradazione alcolica. Negli anni '80 scoppiò lo scandalo del vino al metanolo, con molte persone intossicate ed alcuni decessi; seguì l'uso fraudolento di anabolizzanti negli allevamenti bovini per aumentarne le performances con conseguenti ripercussioni sul settore carne; l'impiego di coloranti sintetici di colore rosso nel peperoncino per renderlo di colore più brillante; il trattamento artificioso del tonno fresco col monossido di carbonio (CO) per renderlo rosso ciliegia a differenza del suo colore naturale (rosso cupo); l'impiego di solfiti o nitrati come stabilizzatori del colore rosso delle carni macinate; nel 2009 l'intossicazione di 53.000 bambini cinesi che hanno bevuto latte in polvere adulterato con melamina.

In tema di olio d'oliva, il resoconto della Commissione parlamentare d'inchiesta sui fenomeni della contraffazione rivela un dato interessante: la maggior parte delle frodi sono scoperte per caso,nel corso di banali verifiche fiscali, ossia di verifiche amministrative e non penali. Le contraffazioni dell'olio d'oliva, per come si sono progressivamente perfezionate negli anni, non sono quasi mai rilevabili, e quindi non sono quasi mai processualmente dimostrabili a livello organolettico con le analisi ufficiali. Se la frode non è una frode grossolana, intendendo per esempio l'impiego della clorofilla, che rappresenta una frode d'altri tempi, a valle della rete distributiva il prodotto imbottigliato risulta sempre conforme ai parametri chimico-fisici. Né alla prova sensoriale, cioè all'assaggio dei "panelisti", è possibile smascherare l'impiego di sottopartite di oli non edibili per il consumo umano o di origine geografica diversa da quella dichiarata.

Le miscelazioni illecite sono gestite attraverso software molto sofisticati, all'interno dei laboratori chimici aziendali, con la tecnica della media ponderata, un metodo per mettere a posto il livello dei valori analitici delle singole componenti, per cui non serve a nulla analizzare o assaggiare l'olio. Il prodotto venduto è una miscela di oli composta da varie sottopartite. Alcune di queste possono essere composte da quantità di materiale che non è edibile come tale ma la media finale risulta essere sempre in linea con i valori previsti dalla normativa comunitaria.

Ma chi di tecnologia ferisce, di tecnologia perisce, è il caso di dire. Sì perché alcuni centri di ricerca hanno approntato un sistema di rilevamento del DNA di oli chiamato RNM, cioè risonanza magnetica nucleare che senza approssimazione attesterebbe la specifica qualità e origine dell'olio analizzato.

L'Italia con questo brevetto si prende una piccola rivincita sui recenti sberleffi del New York Times che ha pubblicato 15 vignette in cui si sottolinea come la maggior parte degli oli italiani siano in realtà sofisticati e provenienti da paesi come Spagna, Grecia, Marocco o Tunisia e poi semplicemente imbottigliati nel nostro paese e spacciati per nostri.
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