On Writing

Aoesha

Di Marica Di Teo

C'era una volta, in una città sulle cui origini ancora si inquisisce, una moltitudine di quegli esseri tanto osservati e tanto esaminati, che da tempo sono capaci di destare una curiosità smisurata in ogni dove e in ogni chi: gli uomini. Per questioni di riserbo chiameremo questa città Aoesha. Per comodità, invece, chiameremo il protagonista della nostra storia Numero Uno.

Ad Aoesha quegli individui eccentrici e bizzarri si dividevano e si raggruppavano seguendo ogni combinazione possibile, secondo l'alternarsi delle stagioni, della lunghezza delle gonne, del colore dei capelli. Però ciò che più piaceva ai bislacchi umani di quel luogo era far parte del gruppo dei gruppi, il più ambito, talmente astratto da poter addirittura essere considerato un non-gruppo. Era il gruppo dei diversi.

Uno non è che può essere diverso e basta, così, deve esserci una relazione col resto, diverso da cosa? Da chi? Da come? È troppo astratto! È quasi metafisico!

Queste riflessioni tenevano occupata ogni giorno la mente del nostro povero Numero Uno. La assillavano, potremmo dire. Eppure Numero Uno non aveva nulla di diverso – ops, scusate – dagli altri umani di Aoesha. Era nato lì, ci aveva vissuto per parecchio tempo: ma ancora non era riuscito a condividere e a comprendere il perpetuo stato di angoscia nel quale gli aoeshiani vivevano, il loro spasmodico e continuo inseguire la diversità.

Più o meno all'età di quindici anni, Numero Uno si avvicinò di molto allo stato di delirante ricerca di diversità che tanto attanagliava gli animi degli abitanti di Aoesha. Anche lui voleva essere diverso, anche se non sapeva bene da chi o da cosa, né come. Cominciò a vedere gente in giro, a frequentare singoli e gruppi, chiedendo: «Scusate, voi sapete come si fa a essere diversi?», e sentendosi dire spesso: «Vieni con noi, guarda come siamo bravi a essere diversi! Siamo molto più bravi di quelli lì». Numero Uno si sentiva sballottato a destra e a manca, brancolava nel buio, e non ci capiva un'acca. Sperimentò, questo non glielo si può biasimare. Ma proprio non capiva, e in quel periodo tornava a casa ogni sera più confuso.

È forse una gara? Deve essere così... il più diverso vince, ed è acclamato e onorato da tutti, si diceva. Ovviamente la sensazione di Numero Uno non si accompagnava alla consapevolezza di come si facesse a raggiungere un simile traguardo. Poi lo spasimo scemò, e Numero Uno cominciò a non pensarci più di tanto, lui tanto alzava le spalle e andava avanti.

Per anni non si preoccupò più della sua diversità mancata, frequentava gli aoeshiani che voleva, diversi e non, sapendo che quello non era più il primo dei suoi pensieri, e forse non lo era mai stato.
Un giorno andò via, lontano da Aoesha, e conobbe persone la cui vita era priva dell'affanno della diversità. Si divertì, crebbe, cambiò. Pensava ad Aoesha a volte, ma non sapeva se con nostalgia o con sollievo.

Come per tanti altri però, arrivò anche per lui il tempo di lasciare l'altrove e tornare.
Passava molte delle sue giornate immerso nella tristezza per ciò che si era lasciato alle spalle. Nel buio di queste giornate, però, lo abbagliò un pensiero: adesso aveva vissuto e conosciuto tanto altro rispetto agli altri aoeshiani, ed era pronto a essere diverso, molto diverso! Ne era sicuro, il suo momento era arrivato.

Andò in strada, la gente lo guardava, e Numero Uno si sentiva già vincitore.
Parlò con il primo gruppo di diversi che incrociò.
«Qual è il tuo colore preferito?», gli chiesero i diversi.
«Il blu, di sicuro. Ma mi piace anche il rosso porpora, il colore che ho conosciuto lavorando i cotoni in terre lontane... e ho una passione per il lilla. I fiori di quel colore sono davvero bellissimi».
«Spiacente, il nostro colore preferito è sempre stato il verde, non puoi essere diverso con noi. E poi da quand'è che uno ha più di un colore preferito?» rispose uno dei diversi. Tutti i membri del gruppo guardavano Numero Uno straniti.
Stizzito, Numero Uno andò avanti, non avrebbe accettato di farsi scappare la sua occasione così.
Ma, se le domande cambiavano, e le risposte di Numero Uno si facevano sempre più fantasiose e diverse, la reazione degli aoeshiani era sempre la stessa.
Numero Uno era basito, allora non aveva capito nulla, come poteva essere?
Ebbene, in verità Aoesha era una città incolore, visto che di colori, ai suoi abitanti tutti e tanto diversi, ne piaceva uno solo, e sempre lo stesso. E non l'avrebbero mai cambiato.
Fu così che Numero Uno la lasciò di nuovo, portandosi dietro oggetti, pensieri e idee diversi. E se stesso, diverso, il più diverso, troppo diverso per quella città dove ogni diverso era uguale.
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